L’esplosione della pratica implantare degli ultimi anni ha drasticamente migliorato l’approccio riabilitativo delle diverse forme di edentulia. Dall’altra parte, è sempre importante sottolineare, nell’interesse del paziente in primis ma anche del clinico, che i trattamenti impianto-protesici, pur soggetti a tassi di successo e di sopravvivenza ampiamente soddisfacenti, richiedono controllo e manutenzione regolari, in quanto esposti a complicanze e a vere e proprie patologie, anche nel lungo termine. L’esempio più significativo è quello delle perimplantiti, ovverosia delle patologie infiammatorie placca-correlate dei substrati implantari, analoghe alle malattie del parodonto anche dal punto di vista terapeutico. In questo senso, la decontaminazione delle superfici implantari costituisce un principio fondamentale. Il substrato superficiale è tuttora oggetto di ampio studio, soprattutto per quanto concerne l’interazione con le specie cellulari che guidano la guarigione tissutale e l’osteointegrazione. Ad esempio, diversi autori hanno indagato il ruolo dei fibroblasti gengivali: non è però questo il tema principale di questa breve trattazione, la quale vuole concentrarsi sulla risposta di tale specie cellulare su substrati diversi a seguito di diverse metodiche di decontaminazione, così come indagato dal gruppo di Cao nel suo studio in vitro.
I campioni consistevano in dischetti di titanio commercialmente puro dal diametro di 15 mm per spessore di 1 mm. Una parte di queste (gruppo M) è stata detersa con acetone ed etanolo, lasciando superfici lisce (polished), l’altra (SAE) è stata sottoposta a sabbiatura e mordenzatura chimica. Tutte sono state sottoposte a controllo al SEM della ruvidità di superficie, che è risultata di 0.012 μm ± 0.002 per il primo gruppo e di 2.972 μm ± 0.126 per il secondo. Nei due gruppi, i campioni sono stati ulteriormente suddivisi e randomicamente assegnati a uno dei cinque gruppi caso (1-5), corrispondenti ad altrettante diverse metodiche di decontaminazione superficiale, o al gruppo controllo (6), ovvero al mancato trattamento.
Metodiche di decontaminazione delle superfici implantari a confronto
Le tecniche dei gruppi 1-5 sono state invece le seguenti:
1) curette in acciaio inossidabile, impiegata con forza di 0.25 N e angolo di lavoro di 70-80° per 60 secondi
2) sistematica ultrasonica con punta in fibra di carbonio, frequenza e ampiezza di oscillazione rispettivamente di 25 Khz e 10 μm, angolo di lavoro di 15°, utilizzata per 60 secondi
3) sistematica ultrasonica con punta metallica, frequenza e ampiezza di oscillazione rispettivamente di 25 Khz e 30 μm, angolo di lavoro di 15°, utilizzata per 60 secondi
4) spazzola rotante in titanio, impiegata con forza di 0.25 N a 920 rpm/min per 60 secondi
5) laser Er:YAG, 30 mJ per pulsazione, angolo di lavoro di 15°, utilizzato per 60 secondi.
I risultati attestano innanzitutto che le diverse metodiche di decontaminazione inducono alterazioni microstrutturali e di ruvidità, tanto sulle superfici lisce quanto su quelle ruvide. Ne consegue una differente risposta da parte della specie cellulare indagata, in termini di adesione e proliferazione.
Riferimenti bibliografici