Alla base di diversi quadri di patologia articolare si ritrova in molti casi una di lussazione del disco (disc displacement), con o senza riduzione. Ciò può condurre a patologia ingravescente con diminuzione dello spazio articolare, infiammazione, condilopatie, trauma compressivo. Dal punto di vista clinico, dal semplice click si può passare a quadri francamente patologici (sindromi algico-funzionali di vario grado). La principale distinzione dal punto di vista terapeutico è la distinzione fra trattamenti conservativi e chirurgici. Questi ultimi costituiscono solitamente una seconda linea rispetto ai primi e tra di essi il trattamento di base è rappresentato dall’artrocentesi. Essa consiste nell’iniezione all’interno della capsula articolare di soluzione fisiologica, solitamente miscelata a sostanze antinfiammatorie. L’obiettivo è, da una parte, di ripulire lo spazio articolare da aderenze, liberare il disco e complessivamente l’articolazione, dall’altra di diluire le sostanze flogogene e algogene. Sull’argomento è stata recentemente pubblicata una revisione (Şentürk 2017) in cui viene anche stabilita la grossa classificazione delle tecniche: la procedura originale è l’artrocentesi a due vie, che prevede il doppio accesso alla capsula con posizionamento di due aghi/cannule che vi peschino con funzioni opposte (infusione di liquido e rimozione dello stesso). Nel 2007, Alkan descrisse per primo l’accesso singolo: quella che oggi è la single-puncture arthrocentesis (SPA) prevede comunque la possibilità di doppio incannulamento sul modello dell’artrocentesi a due vie (SPA tipo 2).
Dal punto di vista operativo, la Letteratura concorda nel far rientrare l’artrocentesi nell’ambito del minimamente invasivo. La procedura, infatti, viene infatti comunemente condotta alla poltrona, con allestimento e strumentazione chirurgici ridotti, e in regime di anestesia locale con la collaborazione diretta del paziente. A questo proposito, il lavoro di Tuz del 2016, pur sollevando secondo altre fonti alcune contraddizioni (si veda a riguardo la lettera di Ramasamy e Madhan), conclude di non aver rilevato svantaggi nel confronto con l’anestesia generale.
Video updated on youtube by New York Oral & Facial Surgery: Adam Hershkin, DMD
Accesso anatomico per artrocentesi dell’ATM
L’accesso anatomico e chirurgico al sito è ben definito. In ogni caso, la procedura si presta ad essere condotta attraverso guida ecografica. I vantaggi sono ad oggi ancora controversi, come sembra dimostrare il più recente lavoro sull’argomento (Sivri 2016). Si può comunque stimare che la diffusione di sistematiche ecografiche sempre più accessibili per dimensioni (tascabili, integrazione con smartphone e device analoghi), facilità d’uso e di lettura possa comunque semplificare la parte pratica della procedura. Del resto, come ricordato da Dayisoylu (2013), la tecnica “alla cieca” richiede una certa expertise da parte dell’operatore ed espone comunque al rischio di danni ai legamenti collaterali e ai tessuti molli.
La procedura è in ogni caso reputata come generalmente scevra di complicanze gravi. Ciò è confermato ancora nel 2017 (Vaira su Cranio), il quale definisce le tipiche complicazioni come transitorie e facilmente trattabili, essendo causate sostanzialmente dall’edema postoperatorio, rilevato nel 95% dei 433 casi considerati.
Un ultimo lavoro da considerare è quello di Grossmann, pubblicato nel numero di questo stesso mese (aprile 2018) di Oral Surgery, Oral Medicine, Oral Pathology, Oral Radiology. Lo studio ricerca i possibili fattori predittivi dell’artrocentesi, considerando (1) durata e (2) intensità del sintomo dolorifico e (3) distanza massima interincisale come utili ai fini della pianificazione della chirurgia nei pazienti soggetti a lussazione senza riduzione ed effusione articolare.
Riferimenti bibliografici
Ultrasound-guided arthrocentesis of the temporomandibular joint. Dayisoylu EH, Cifci E, Uckan S.