Pietro Fusari1, Sara Giglio2
1DDS, Specialista in Chirurgia Odontostomatologica, Medico frequentatore dell’Unità di Chirurgia orale (Direttore: Prof. Matteo Chiapasco) – Clinica Odontoiatrica Dipartimento di Scienze della Salute A.O. San Paolo, Università degli Studi di Milano
2DDS, Medico frequentatore dell’Unità di Chirurgia orale (Direttore: Prof. Matteo Chiapasco) – Clinica Odontoiatrica Dipartimento di Scienze della Salute A.O. San Paolo, Università degli Studi di Milano
Riassunto
La terapia ortodontica negli ultimi dieci anni ha sviluppato risposte sempre più in linea con le crescenti richieste del paziente adulto: soluzioni estetiche e contrazione dei tempi di trattamento. In particolare, l’utilizzo crescente delle miniviti ortodontiche ha semplificato l’esecuzione di movimenti prima considerati complessi, migliorando la predicibilità della procedura, riducendo l’ingombro dei dispositivi necessari e, infine, i tempi di trattamento. Tuttavia la sistematica non si è dimostrata esule da complicanze di rilievo. Un approccio chirurgico a volte approssimativo, una non approfondita conoscenza circa il decorso delle strutture anatomiche da rispettare e la reticenza a sollevare lembi mucoperiostei per un preciso e stabile posizionamento dell’ancoraggio espongono clinico e paziente a problematiche di difficile gestione. I rischi a cui questa tecnica espone dovrebbero pertanto essere ben conosciuti. Presentiamo un caso clinico relativo al recupero chirurgico di una minivite ortodontica dislocata durante la fase di inserimento lungo il versante linguale del ramo mandibolare in prossimità della fossa infratemporale. Risulta fondamentale un’adeguata formazione dei professionisti riguardo alle tecniche chirurgiche più idonee per prevenire o gestire correttamente le potenziali complicanze in cui si può incorrere, qualora si manifestino.
Summary
Surgical retrieval of an orthodontic miniscrew displaced into the oral floor: case report
Orthodontic treatment in the last ten years developed solutions to improve the growing demands of adult patients: aesthetic solutions and faster treatment. In particular the increasing use of orthodontic miniscrews simplified the execution of complex movements; it improves the predictability of the procedure, reduces the overall dimensions of the orthodontic devices and the treatment time. This solution does not prevent relevant complications. Inexperience, a not proper surgical approach, a bad knowledge of anatomical structures and the reticence to raise mucoperiosteal flaps for an accurate insertion of the screw, expose both the clinician and the patient to important and several problems. The surgical complications this technique exposes should be therefore well known. In this article the Authors describe a clinical case about the surgical recovery of an orthodontic miniscrew displaced along the lingual side of the mandible close to the infratemporal fossa, during the insertion phase. It is important that specialists receive a proper training about appropriate surgical techniques to prevent or manage all the potential complications that can occur.
La terapia ortodontica negli ultimi dieci anni ha sviluppato risposte sempre più in linea con le crescenti richieste del paziente adulto: soluzioni estetiche e contrazione dei tempi di trattamento. L’impiego di dispositivi definiti “invisibili” e l’introduzione di sistemi di ancoraggio intraorali extradentali hanno aumentato in maniera significativa la disponibilità dei pazienti a sottoporsi a piani di trattamento multidisciplinari che comprendano la terapia ortodontica. Il controllo dell’ancoraggio, essenziale per il successo dei trattamenti ortodontici, rappresenta spesso un aspetto critico della procedura. Tra le diverse strategie sviluppate negli anni per migliorare i risultati, semplificando le tecniche impiegate, le miniviti ortodontiche hanno dimostrato di essere un valido ausilio. L’utilizzo crescente delle miniviti ha semplificato l’esecuzione di movimenti prima considerati complessi, migliorando la predicibilità della procedura, riducendo l’ingombro dei dispositivi necessari e, infine, i tempi di trattamento. Questa sistematica offre al clinico numerosi vantaggi, tra cui un rapido intervento sia per l’inserimento che per la rimozione delle viti, un carico immediato o precoce, bassi costi di realizzazione e l’ottenimento di un adeguato ancoraggio. Non verificandosi una reale osteointegrazione, le miniviti forniscono solo un ancoraggio stazionario temporaneo; pertanto non è necessario attendere alcun tempo dopo l’inserimento prima di procedere all’applicazione di forze ed è, inoltre, possibile rimuoverle agevolmente. Infine, le ridotte dimensioni di questi dispositivi – soprattutto in termini di diametro – creano poche limitazioni anatomiche al loro posizionamento e ne consentono l’inserimento anche negli spazi interradicolari, allargando lo spettro di utilizzo. Il risultato del trattamento diviene pertanto meno dipendente, rispetto ad altri dispositivi di ancoraggio, dalla “compliance” dei pazienti. Negli ultimi anni i campi di applicazione delle miniviti ortodontiche sono stati estesi a varie casistiche cliniche, tra cui: la correzione dei deep bite, la chiusura di spazi, l’allineamento dentale, l’uprighting dei molari, l’estrusione di denti inclusi, l’intrusione, distalizzazione o mesializzazione di elementi, l’ancoraggio intermascellare per la correzione di discrepanze trasversali o verticali ecc.
Il mancato coinvolgimento di elementi dentari prima utilizzati come sistemi di ancoraggio ha sicuramente condotto a una drastica riduzione delle complicanze legate a una scorretta applicazione delle forze e a una minore necessità di sottoporre il paziente a frequenti controlli per monitorare il comportamento degli elementi coinvolti. È richiesta comunque una precisa tecnica chirurgica sia per l’inserimento che per la rimozione delle miniviti, oltre a complicate procedure cliniche e di laboratorio per trasferire correttamente la posizione di queste sui modelli in gesso. Nonostante gli sforzi dei ricercatori nessuna tecnica ha consentito un successo del 100%. Inoltre, la sistematica non si è dimostrata esente da complicanze di rilievo1. Un approccio chirurgico a volte approssimativo, una non approfondita conoscenza circa il decorso delle strutture anatomiche da rispettare e la reticenza a sollevare lembi mucoperiostei per un preciso e stabile posizionamento dell’ancoraggio espongono clinico e paziente a problematiche di difficile gestione. I rischi a cui questa tecnica espone dovrebbero pertanto essere ben conosciuti. Presentiamo un caso clinico relativo al recupero chirurgico di una minivite ortodontica dislocata durante la fase di inserimento lungo il versante linguale del ramo mandibolare in prossimità della fossa infratemporale.
Case report
La paziente P.G., di anni 64, si è presentata alla nostra attenzione presso l’Unità di Chirurgia Orale della Clinica Odontoiatrica dell’Azienda Ospedaliera San Paolo, Università degli Studi di Milano, diretta dal Prof. Matteo Chiapasco, inviata dal proprio curante per valutare il recupero di una minivite ortodontica dislocatasi nei tessuti molli durante la fase di posizionamento. La paziente ha riferito di essere stata sottoposta alcuni giorni prima a un intervento finalizzato al posizionamento di una minivite ortodontica in corrispondenza del ramo/angolo mandibolare sinistro, distalmente al secondo molare inferiore, al fine di poter eseguire un movimento di uprighting di quest’ultimo e ricreare gli spazi necessari per una riabilitazione implantoprotesica dell’elemento mancante in posizione 3.6.
La precaria stabilità dell’ancoraggio e la volontà di impegnare maggiormente la minivite nella compagine ossea in una zona dove i tessuti molli sono ben rappresentati sono state addotte, nella documentazione fornita dal curante, quali cause dell’insorgenza di tale complicanza. La paziente ha riferito il manifestarsi di una lieve dolenzia dell’area trattata, compatibile con il trauma generato dall’introduzione del corpo estraneo. L’esame obiettivo intraorale ha rivelato una lieve tumefazione del pavimento orale, distalmente e lingualmente all’area del secondo molare inferiore sinistro, dolente alla palpazione; non è risultato invece apprezzabile il corpo estraneo, descritto come una vite lunga 10 mm e larga 1 mm circa. In occasione della successiva rivalutazione, con gli esami radiografici richiesti (OPT e tomografia computerizzata della mandibola con programma Dental Scan), è stato possibile identificare la posizione della minivite in quell’area anatomica posta lingualmente al ramo mandibolare, meglio definita come fossa infratemporale.
La posizione del corpo estraneo è risultata essere prossima a strutture anatomiche di rilievo quali il plesso venoso pterigoideo, i rami dell’arteria mascellare interna e il nervo mandibolare in corrispondenza della divisione nei suoi rami linguale e alveolare inferiore. Vista la necessità di ottenere il massimo livello di collaborazione da parte della paziente al fine di evitare il rischio di movimenti riflessi durante le fasi più delicate dell’intervento e di poter procedere alla gestione di eventuali complicanze quali emorragie o dislocazione del corpo estraneo, si è deciso di programmare l’intervento in regime di narcosi. Lo stesso giorno dell’intervento è stata eseguita un’ulteriore ortopantomografia per confermare la posizione finale o evidenziare eventuali spostamenti della minivite al fine di consentire al chirurgo di poter eseguire l’accesso chirurgico più adatto alla localizzazione e alla rimozione del dispositivo. Dopo intubazione naso-tracheale e infiltrazione loco-regionale con mepivacaina 2% con vasocostrittore è stata eseguita, in regime di narcosi, un’incisione lineare in cresta intrasulculare a 37 che si continuava distalmente lungo il margine anteriore della branca montante, seguita dal sollevamento di un lembo mucoperiosteo lungo il versante linguale. La successiva interruzione del periostio eseguita tramite trazione dello stesso con uno scollatore ha poi permesso l’identificazione della testa della minivite e il suo successivo recupero attraverso un’attenta e delicata trazione, al fine di impedire che le spire ben rappresentate lacerassero i tessuti all’interno dei quali era imbrigliata.
Si è così proceduto al controllo dell’emostasi e alla sutura del lembo al fine di ottenere una guarigione per prima intenzione (Figure 1-7). Alla paziente sono state prescritte una terapia antibiotica per via orale con Amoxicillina e Acido Clavulanico 1 g cpr (1 cpr ogni 12 ore per 6 giorni), una terapia analgesica con Nimesulide granulare 100 mg (al bisogno, max 2 volte al giorno per 3 giorni) e una antisettica con collutorio puro a base di Clorexidina 0,2% (2 sciacqui al giorno per 14 giorni). Il decorso post-operatorio è stato regolare; a distanza di 7 giorni sono stati rimossi i punti endorali. Il successivo controllo clinico ha confermato l’assenza di eventuali complicanze post-operatorie e la risoluzione della pur moderata sintomatologia dolorosa.
Discussione
Le miniviti ortodontiche consentono di ottenere un ancoraggio ortodontico efficace, rappresentando un valido ausilio alle tecniche tradizionali, con una riduzione della difficoltà di inserimento e del rischio di danni biologici dovuti alle loro ridotte dimensioni; tuttavia, possono provocare una serie di danni, anche seri, se non correttamente posizionate. L’utilizzo di questa tecnica espone infatti a una serie di rischi che dovrebbe essere conosciuta sia dal clinico che dal paziente. Le complicazioni possono insorgere sia nella fase di posizionamento della vite che dopo il carico ortodontico che può comprometterne la stabilità. Spesso la fase chirurgica di inserimento viene eseguita direttamente dall’ortodontista, che poi utilizzerà le miniviti ai fini ortodontici, e che non sempre possiede competenze chirurgiche specifiche. Una conoscenza precisa della corretta tecnica di posizionamento, della densità e della morfologia ossea, dei tessuti perimplantari, delle strutture anatomiche nobili da preservare nella zona dell’inserimento della vite, oltre alla collaborazione domiciliare da parte del paziente, sono fattori fondamentali per il successo del trattamento. Tra i rischi in cui l’odontoiatra può incorrere durante il posizionamento di miniviti nello spazio interdentale vengono citati il trauma al legamento parodontale o alla radice dell’elemento dentario adiacente, che può causarne perdita di vitalità, osteosclerosi o anchilosi dento-alveolare2,3.
La radice dentaria che viene danneggiata dalle miniviti a livello superficiale, senza coinvolgimento pulpare, ha dimostrato una completa riparazione del dente e del parodonto entro le 12-18 settimane dalla rimozione delle viti. In ogni caso il posizionamento interradicolare richiede una corretta pianificazione radiografica per determinare il sito più sicuro per l’inserimento. Pertanto l’esecuzione di un’ortopantomografia, ma anche di radiografie endorali, risulta molto importante per determinare la corretta sede di inserimento delle viti. Le miniviti possono rimanere clinicamente stabili ma non completamente stazionarie sotto il carico ortodontico.
A differenza degli impianti endossei che si osteointegrano, queste acquistano stabilità primaria attraverso ritenzione meccanica fornendo solo un ancoraggio stazionario temporaneo e possono essere dislocate all’interno dell’osso, per esempio se caricate eccessivamente e per lunghi periodi. Tenendo conto di questo fenomeno, il clinico dovrebbe mantenere 2 mm di sicurezza dalle strutture anatomiche contigue da preservare. Inoltre, l’esercitare forze di inserimento troppo elevate può aumentare il rischio di dislocazione della minivite anche nella stessa fase di inserimento; nel caso in cui la minivite venga inavvertitamente spinta oltre la corticale ossea, perforando il periostio e dislocandosi nei tessuti mucosi, può causare numerosi danni iatrogeni in quanto si può muovere negli spazi mucosi (per esempio, negli spazi sottomandibolari, latero-faringei, in prossimità del decorso del nervo linguale e alveolare inferiore ecc.).
Nella zona retromolare, in particolare, è indicato eseguire uno scollamento del lembo di accesso per visualizzare correttamente la sede di inserimento, anche nel caso di viti autofilettanti. In caso di dislocazione in zone di difficile accesso chirurgico, l’intervento di rimozione della minivite potrebbe non essere eseguibile in regime ambulatoriale in anestesia locale, obbligando il clinico a organizzare l’intervento in regime di narcosi, con un aumento della morbidità operatoria e dei costi. È anche possibile provocare danni alle strutture nervose, durante l’inserimento, che nella maggior parte dei casi, trattandosi di danni minori senza complete lacerazioni, causano alterazioni di tipo transitorio. Le miniviti possono flettersi o fratturarsi durante la fase di inserimento o di rimozione oppure possono ottenere una parziale osteointegrazione che talvolta complica le manovre di rimozione. Inoltre, se caricate in maniera eccessiva o scorretta possono andare incontro a un fallimento precoce e dover essere rimosse per perdita di stabilità poco dopo il carico.
Talvolta la sede scelta radiograficamente come più idonea per il posizionamento delle miniviti prevede un posizionamento in mucosa non cheratinizzata4; soprattutto in questo caso si possono verificare complicanze come la copertura della testa della vite a opera dei tessuti molli (comunque facilmente risolvibile), infiammazioni dei tessuti molli, infezioni o perimplantiti5. Altre possibili complicanze citate in letteratura sono l’enfisema sottocutaneo, la perforazione del seno mascellare o delle cavità nasali a opera delle miniviti. Molti studi scientifici analizzano la sopravvivenza, la percentuale di successo e le complicanze delle miniviti ortodontiche, così come i fattori clinici a esse correlati6-10, o la risposta immunologica dei pazienti in seguito all’applicazione di questi dispositivi di ancoraggio11. Alcuni Autori in letteratura suggeriscono di utilizzare una guida chirurgica fabbricata sulla base di una tomografia computerizzata per evitare errori nel posizionamento delle miniviti, soprattutto nei settori a rischio rappresentati dalla stretta vicinanza delle radici dentarie o di strutture anatomiche nobili12-14.
Conclusioni
Dati i potenziali rischi e complicazioni in cui si può incorrere durante il posizionamento delle miniviti ortodontiche, oppure durante la loro permanenza in situ, gli Autori sottolineano l’importanza di non sottostimare la procedura soprattutto nelle aree latero-posteriori. L’inserimento e la ricerca di una buona stabilità in corrispondenza della branca montante o della zona del tuber obbliga il clinico alla conoscenza e al rispetto dell’anatomia loco-regionale oltre che alla corretta identificazione delle basi ossee passando a volte attraverso lo scollamento di un lembo mucoperiosteo. Laddove lo specialista non possieda competenze specifiche nel ramo della chirurgia orale, la fase di posizionamento e rimozione di questi dispositivi dovrebbe essere delegata a colleghi del settore al fine di evitare di incorrere in complicanze potenzialmente severe.
Corrispondenza
Pietro Fusari
Clinica Odontoiatrica
Via Beldiletto, 1/3
20142 Milano
pietro.fusari@libero.it
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