Lo screening osteo-metabolico prima dell’implantologia previene possibili problematiche legate a situazioni di fragilità ossea.
La fragilità ossea, conseguenza dell’osteoporosi, è una patologia complessa e di non semplice gestione, con numeri che sorprendono.
Si stima che in Italia ci siano oggi circa 3,5 milioni di donne e un milione di uomini affetti da osteoporosi. Poiché nei prossimi 20 anni la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni d’età aumenterà del 25%, ci dovremo attendere un proporzionale incremento dell’incidenza dell’osteoporosi. Di conseguenza, quella del Bone Specialist è una figura molto importante per il trattamento dell’osteoporosi severa perché questa patologia pretende un percorso diagnostico molto particolare.
In Italia si sente il bisogno di medici che abbiano il profilo del Bone Specialist, come avviene all’estero. La Clinica odontoiatrica dell’Università degli Studi di Milano (direttore professor Luca Francetti) e il Reparto di implantologia e riabilitazione orale dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, diretto dal dottor Tiziano Testori, hanno da tempo intrapreso una collaborazione con l’Ambulatorio di patologia osteometabolica condotto dal dottor Gregorio Guabello, internista ed endocrinologo.
Obiettivo della collaborazione, attivare un servizio di prevenzione delle possibili problematiche post-implantari legate a situazioni di fragilità ossea. Nell’ambito di questa collaborazione è stato messo a punto il SOMI, lo screening osteo-metabolico preimplantare: uno strumento di valutazione ossea e metabolica del paziente candidato a interventi di implantologia, utile all’odontoiatra per muoversi in sicurezza. Dopo la elezione dei pazienti candidati alla valutazione osteo-metabolica, il paziente viene accompagnato alla chirurgia implantare dal Bone Specialist nelle migliori condizioni clinico-farmacologiche, abbattendo al minimo il rischio di fallimento implantare e acquisendo una maggior tutela medico-legale.
Dottor Guabello, quale specializzazione si richiede al Bone Specialist?
Questa è una domanda delicata. Vi do una risposta da endocrinologo, assumendomi la responsabilità di sembrare di parte… Lo specialista più indicato ad approfondire le tematiche del metabolismo dell’osso è proprio l’endocrinologo, che può e deve seguire il paziente per tutto il corso della patologia (cioè per la vita) monitorando e valutando le indagini sierologiche, gli esami diagnostici strumentali e poi impostando la terapia che andrà di volta in volta rivalutata, confermata o modificata. Un compito non semplice, che occorre svolgere con precisione per la massima efficacia”.
Quali altri profili medici possono qualificarsi come Bone Specialist?
Sicuramente il reumatologo, che ha le competenze per valutare la corretta applicazione di terapie innovative. Un po’ meno adatti i chirurghi, e mi riferisco agli ortopedici, che sono impegnati su un fronte differente e con diverse tempistiche d’intervento. Teniamo presente che gli esperti nel metabolismo dello scheletro devono avere competenze multidisciplinari per curare una patologia trasversale. Tuttavia, se un medico – un fisiatra, un internista, un geriatra per esempio - si appassiona alla materia e vi dedica molto studio, può certamente diventare una figura a tutto tondo adatta a seguire i pazienti con questi problemi.
Denosumab
Denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di neutralizzare il RANKL, una citochina che, interagendo con il recettore RANK sulla membrana di pre-osteoclasti e osteoclasti maturi, ne condiziona reclutamento, maturazione e sopravvivenza. Si tratta di un antiriassorbitivo come i bisfosfonati. Le differenze più rilevanti rispetto a questi ultimi sono:
– l’effetto che cessa immediatamente alla scomparsa dal circolo del farmaco;
– l’azione è uniforme su tutte le strutture scheletriche a prescindere dal turnover osseo, che si traduce in una maggior attività farmacologica a carico dell’osso corticale;
– la terapia cronica si associa a un continuo incremento densitometrico, a differenza di quanto avviene con altri antiriassorbitivi con i quali dopo 3-4 anni di terapia si assiste a un plateau, in particolare a livello delle strutture corticali.
Nelle forme più severe di osteoporosi è stato documentato un ulteriore beneficio densitometrico in caso di associazione del denosumab con teriparatide o di sequenzialità teriparatide-denosumab e non viceversa. Gli studi clinici non hanno evidenziato effetti collaterali rilevanti.
Teriparatide
La somministrazione sottocute quotidiana di ormone paratiroideo e in particolare del suo frammento attivo 1-34 (teriparatide) stimola sia la neoformazione che ii riassorbimento osseo, con un effetto prevalente sulla neoformazione (finestra anabolica) che è evidente soprattutto nei primi 12 mesi di trattamento. Il teriparatide si è dimostrato in grado di ridurre (dopo un trattamento di 21 mesi) le fratture vertebrali del 65% e le non vertebrali del 53%. Alla sospensione del trattamento si assiste a un rapido calo densitometrico, che rende pertanto consigliabile l’avvio al più presto di una terapia alternativa (antiriassorbitiva). Diversi studi hanno valutato la combinazione del teriparatide con altri trattamenti e al momento gli effetti densitometrici maggiori sono stati ottenuti quando il teriparatide è stato combinato in associazione a zoledronato o denosumab.
Quale rapporto per l’odontoiatra con il Bone Specialist?
L’odontoiatra, nella sua pratica clinica quotidiana, ha sempre più spesso come target pazienti in età medio-avanzata o senile, con un’alta prevalenza di patologia osteoporotica (per esempio donne in post menopausa) e in terapia con farmaci osteotrofici; inoltre è nota in letteratura una possibile, anche se non univoca, associazione fra alcuni di questi farmaci e l’insorgenza di una temibile complicanza, l’osteonecrosi delle ossa mascellari e/o della mandibola (osteonecrosis of the jaw, ONJ), una forma di osteomielite quasi sempre legata a una infezione da Actinomiceti, che in genere riguarda pazienti che si sottopongono a interventi sul cavo orale con esposizione del tessuto osseo (estrazioni dentali, chirurgia implantare).
Ne consegue che l’odontoiatra debba acquisire la conoscenza circa i fondamenti della attuale terapia farmacologica per l’osteoporosi: deve saper distinguere tra le differenti tipologie di trattamento e riconoscere quei pazienti per i quali richiedere una valutazione osteo-metabolica pre-chirurgia orale ad opera del Bone Specialist, cioè dello specialista di cui parlavo prima, esperto di metabolismo minerale e osseo (reumatologo, endocrinologo, internista, geriatra), con il fine di portare il paziente alla chirurgia implantare nelle migliori condizioni clinico-farmacologiche, ottimizzando la qualità dell’atto chirurgico e abbattendo al minimo il rischio di fallimento implantare.
L’odontoiatra implantologo è spaventato dall’evenienza osteonecrosi. A volte chiede al paziente di sospendere la terapia.
Grave errore. A oggi non esiste alcuna evidenza scientifica che supporti la reale validità della sospensione delle terapie ONJ-relate prima di una procedura odontoiatrica invasiva, al fine di ridurre il rischio di insorgenza di osteonecrosi delle ossa mascellari, se non l’esperienza clinica. La durata della terapia con bisfosfonati e la presenza o meno di fattori di rischio sistemici permette di considerare possibile la sospensione della terapia nei pazienti a maggiore rischio, tuttavia è utile ricordare che per gli amino-bisfosfonati con elevata affinità per i cristalli di idrossiapatite (alendronato, zoledronato), e quindi maggiore persistenza nell’osso, la sospensione può essere inutile ai fini della riduzione del rischio di osteonecrosi delle ossa mascellari. Per il denosumab, invece, la sospensione deve essere assolutamente evitata per il concreto rischio di fratture vertebrali spontanee da rimbalzo. Peraltro, essendo il denosumab un farmaco con meccanismo “on-off”, permette di ipotizzare per pazienti selezionati una finestra terapeutica in cui il metabolismo dell’osso è attivo, minimizzando il rischio di osteonecrosi del mascellare. Ma la tempistica è da studiare con lo specialista. Insomma, l’odontoiatra non può prendere l’iniziativa di sospendere la terapia anti-riassorbitiva se non dopo accordo con il Bone Specialist, per evidenti ripercussioni cliniche e medico-legali.