Sulla base di quanto detto nella prima parte dell’articolo, pare legittimo chiedersi quali siano, da un punto di vista scientifico, le reali possibilità di rigenerare una papilla interdentale.
Negli anni ’60, Kohl e Zander compirono uno studio su primati: la gengiva interprossimale, danneggiata in questo caso volontariamente, si riformava entro 8 settimane. Al contrario, lo studio clinico di Holmes stabilì che la papilla non era in grado di riformarsi con la stessa forma e altezza.
Questi lavori storici inducono da subito la massima cautela nell’approcciare tali casi e, a monte, mettono ancora in evidenza l’importanza della salvaguardia della papilla quando ancora presente.
Come nello studio dei fattori causali, l’approccio può essere di tre ordini: ortodontico, parodontale, restaurativo. In più, si fa distinzione fra tecniche chirurgiche e non.
La metodica ortodontica fa riferimento alla chiusura di eventuale diastema. Non è infatti immediato che la gengiva trovi immediatamente una festonatura congrua alla nuova posizione; potrebbe al contrario residuare un deficit. In linea di massima, comunque, l’applicazione di forze lievi e prolungate fa sì che l’osso e, con esso, i tessuti di rivestimento seguano il dente: il picco osseo non fa eccezione.
La terapia parodontale non chirurgica costituisce un caso particolare. Nelle condizioni di particolare gravità, ad esempio la GANU, che prevede un caratteristico appiattimento ulcerativo della papilla, la frequente ripetizione del curettage (ogni due settimane per 3 mesi!) induce una reazione infiammatoria a carattere iperplastico. A completa guarigione (9 mesi) sono stati osservati casi di rigenerazione. Per quanto il protocollo, proposto da Shapiro nel 1985, appaia chiaramente non predicibile, esso può rappresentare un’opzione contemplabile in caso di parodontopatie molto aggressive.
Le tecniche restaurative, siano esse conservative dirette o protesiche, si basano tutte sullo stesso razionale di base: l’ampliamento (già enunciato nella prima parte dell’articolo) e lo spostamento in senso apicale del punto di contatto.
Da ultime, vengono elencate le tecniche chirurgiche di ricostruzione della papilla.
1. Lembo peduncolato: un lembo da papilla preservation foderato con un roll flap.
2. Lembo semilunare riposizionato coronalmente: incisione primaria in corrispondenza dello spazio interdentale. Il connettivo è di provenienza palatale. Incisioni secondarie intrasulculari permettono la mobilizzazione della neopapilla.
3. Lembo a busta: incisione unica, intrasulculare e buccale a livello dello spazio interdentale da riabilitare. Il lembo viene elevato a mezzo spessore vestibolarmente e palatalmente. Viene infine foderato con innesto connettivale.
4. Innesto osseo e connettivale: l’incisione deve garantire la massima ritenzione.
5. Tecnica microchirurgica senza incisioni di rilascio.