Riassunto
Obiettivi. Il tema della relazione tra occlusione dentale, postura corporea e disordini temporomandibolari (TMD) è uno dei più accesi argomenti di dibattito in Odontoiatria, essendo stato oggetto frequente di speculazioni non sempre supportate da un’adeguata letteratura. La presente revisione della letteratura scientifica è stata condotta allo scopo di evidenziare quale sia lo stato dell’arte in tema di: 1) fisiologia della relazione tra fattori occlusali e postura del soma, 2) loro rapporto con i TMD, 3) validità delle tecniche disponibili per la misurazione della relazione in oggetto e loro applicabilità clinica nell’area della diagnosi e della terapia dei TMD.
Materiali e metodi. È stata eseguita una ricerca su PubMed allo scopo di analizzare l’associazione tra occlusione dentale, postura del corpo e TMD.
Risultati. I risultati hanno dimostrato che sebbene esistano alcune associazioni tra fattori occlusali e postura del soma non è disponibile, al momento, evidenza scientifica del rapporto causa-effetto. In particolare, risulta evidente come approcci basati sulla diagnosi e sulla correzione di presunte anomalie strumentali e/o occluso-posturali non possano trovare spazio nella clinica dei TMD.
Conclusioni. L’utilizzo di tecniche di analisi strumentale dell’occlusione e della postura corporea è al momento da raccomandare al solo scopo di ricerca, al fine di chiarire i molteplici aspetti di variabilità individuale e di poter fornire in futuro raccomandazioni basate su considerazioni diagnostico-terapeutiche individualizzate.
Summary
Dental occlusion, body posture, and temporomandibular disorders: where we are now and where we are heading for
Aims. The issue of the relationship between dental occlusion, body posture, and temporomandibular disorders (TMD) is a hot topic in dentistry, and it is often a source of speculations not supported by an adequate scientific literature. This review was performed in order to underline the state-of-the-art of the following issues: 1) the physiology of the dental occlusion-body posture relationship, 2) their relationship with temporomandibular disorders, 3) the validity of the available instrumental devices to measure the dental occlusion-body posture-TMD relationship and their clinical usefulness in the field of TMD diagnosis and treatment.
Materials and methods. An overview of the existing literature was performed on PubMed with the aim of analyzing the association between dental occlusion, body posture and TMD.
Results. The studies showed that even if some associations have been found between occlusal factors and postural alterations, there is not enough scientific evidence to support a cause-effect relations. There is no evidence that the relationship between occlusal and postural features and the presence of TMD pain is predictable and that approaches aiming to change irreversibly the dental occlusion for correcting purported instrumental abnormalities can find place in the evidence-based TMD practice.
Conclusions. The adoption of instrumental devices to assess dental occlusion and body posture has to be reserved to strictly controlled research settings, with the aim to clarify the main doubts concerning the high inter-individual variability of the occlusion-body posture-TMD relationship. Only then, hypothesis-tested clinical suggestions could be drawn.
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Il tema della relazione tra occlusione dentale, postura corporea e disordini temporomandibolari (TMD) è uno dei più accesi argomenti di dibattito in Odontoiatria, essendo stato frequentemente oggetto di speculazioni non sempre supportate da evidenza scientifica. In particolare, il razionale per la terapia dei TMD basata su teorie fisiopatologiche che fanno riferimento alla necessità di correggere presunte anomalie occluso-posturali sembra fondarsi su assiomi e postulati sulla cui validità sussistono molti dubbi. In realtà, un approfondimento mirato alle possibili implicazioni diagnostico-terapeutiche di un approccio ai TMD basato sullo studio della relazione tra postura corporea e occlusione non può prescindere dalla valutazione della fisiologia della relazione stessa. Questa valutazione deve essere descritta in termini quali-quantitativi attraverso appropriati metodi di misurazione. A tal proposito, esistono numerosi strumenti funzionali che sono stati proposti come misuratori in ambiti di ricerca (tra gli altri, elettromiografia di superficie, pedane stabilometriche, kinesiografia), ma il loro impiego spesso indiscriminato in ambito clinico come mezzi diagnostici esclusivi ha suscitato severe critiche nella comunità scientifica. Infatti, il campo di applicazione più frequente per tali strumenti è quello dei disordini temporomandibolari, la cui eziopatologia multifattoriale a ridotto ruolo occlusale sembra giustificare poco l’adozione di un approccio diagnostico centrato sull’occlusione e sugli effetti di questa sulla postura mandibolare e corporea.
Ciononostante, in virtù dei vasti ambiti di conoscenza ancora da chiarire sembra necessario adottare un atteggiamento di cauta critica costruttiva nei confronti dell’analisi funzionale strumentale per lo studio delle patologie del sistema stomatognatico, che non può prescindere da una revisione sistematica della letteratura.
Considerate queste premesse, la presente review consta di diverse sezioni, volte rispettivamente a sintetizzare i dati disponibili in letteratura su: 1. la fisiologia della suddetta relazione; 2. la relazione dell’occlusione dentale e della postura corporea con i TMD; 3. la validità delle tecniche disponibili per una quantificazione e misurazione di tale relazione e la loro applicabilità clinica nelle aree della diagnosi e del trattamento dei disordini temporomandibolari.
Postura corporea e sistema stomatognatico: la fisiologia
La mandibola e il sistema stomatognatico nella sua interezza contraggono rapporti sia di tipo biomeccanico che neurologico con altri distretti corporei, al punto che dopo un’epoca di negativismo per quanto riguarda la potenziale relazione tra occlusione dentale e postura corporea si stanno recentemente aprendo numerosi ambiti di ricerca volti a comprendere meglio la fisiologia di tale rapporto. Esistono pochi dubbi sul fatto che determinate caratteristiche scheletriche a livello stomatognatico si accompagnino a meccanismi di compenso posturale a livello di distretti limitrofi (per esempio, rachide cervicale, cingolo scapolo-omerale) e probabilmente anche a livello di distretti non limitrofi. In tal senso, la letteratura supporta la necessità di approfondire il rapporto tra grosse anomalie scheletriche nella relazione intermascellare, quali ad esempio severe retrognazie, marcate prognazie, iperdivergenze (per esempio, estensione cranio-cervicale e riduzione delle lordosi cervicali), ipodivergenze (per esempio, flessione cranio-cervicale e aumento della lordosi cervicale), asimmetrie facciali (per esempio, compensi torsionali somatici a partire dalla cerniera occipite-atlante) e compensi posturali a livello del rachide e dell’appoggio plantare. Infatti, in generale, le revisioni della letteratura hanno sottolineato la scarsa qualità metodologica dei lavori condotti finora1-4. Per quanto riguarda la relazione tra malocclusioni e postura del capo, sembra esistere una correlazione tra posizione mandibolare retrusa, ridotta lunghezza della mandibola sul piano sagittale (entrambi aspetti caratteristici delle II classi scheletriche) e aumentata lordosi cervicale5. Inoltre, è stata descritta una relazione del grado di lordosi cervicale con la morfologia cranio-facciale verticale (divergenza mandibolare) e con l’overjet dentale, suggerendo che le malocclusioni di classe II siano associate a una posizione anteriorizzata della postura del capo e del corpo mentre le classi III abbiano una postura posteriorizzata6. In realtà, è comunque bene sottolineare che nessuno studio attualmente disponibile ha valutato tali associazioni in relazione all’età. Ciò costituisce un importante limite metodologico se si considera che l’età è il principale fattore che influenza la curvatura della lordosi cervicale, con una relazione inversamente proporzionale (maggiore l’età e minore la curvatura).
Per quanto riguarda l’influenza delle malocclusioni sui distretti non limitrofi, il razionale su cui si basa l’ipotesi di un’associazione è che un’anomala posizione mandibolare influenzi la muscolatura distale causando compensi posturali a livello spinale. Tra i fattori occlusali che potenzialmente influenzano la curvatura della colonna a livello spinale, il morso incrociato monolaterale è stato sicuramente il più investigato in letteratura a causa della potenziale asimmetria nella crescita mandibolare e nell’attività muscolare7,8. In realtà, sebbene vi siano ben note indicazioni ortodontico-funzionali per la correzione del morso incrociato in età pediatrica a causa del conseguente sviluppo asimmetrico del sistema stomatognatico che deriva dalla mancata correzione, non esistono prove che quest’ultima porti a comparsa e/o aggravamento di asimmetrie trasverse a livello dorso-lombare con significato patologico. In particolare, una recente review sistematica ha sottolineato che il trattamento ortodontico mirato alla correzione del morso incrociato monolaterale non ha potenzialità di influire, positivamente o negativamente, sulla scoliosi, che è la patologia spinale per la quale più frequentemente vengono chiamati in causa approcci odontoiatrici3. La scoliosi riconosce infatti un’eziologia idiopatica in almeno il 90% dei casi9.
Più in generale, gli studi presenti in letteratura sono concentrati sull’associazione tra una certa alterazione occlusale e una certa condizione posturale in campioni di popolazione statisticamente non significativi, spesso in assenza di gruppi di controllo, raramente con operatori che agiscono in cieco e con metodi di misurazione la cui riproducibilità è spesso discutibile. Inoltre, nessun rapporto di causalità è mai stato dimostrato. La letteratura non è conclusiva nemmeno per quanto riguarda l’influenza della postura mandibolare e delle caratteristiche occlusali sull’appoggio plantare. In particolare, le attuali tecniche posturografiche non sono state in grado di evidenziare una relazione tra postura corporea e occlusione dentale10,11. Ciò significa che, sebbene sia plausibile che una correlazione esista, è probabile che numerosi meccanismi compensatori da parte di varie afferenze al complesso sistema neuromuscolare – che governa l’equilibrio e la postura corporea – intervengano a mediare gli effetti della propriocezione trigeminale, rendendo quindi molto complesso lo studio della fisiologia della relazione tra occlusione dentale e postura corporea. Questa considerazione implica il fatto che le tecniche posturografiche sono molto importanti in ambito di ricerca, ma hanno una scarsa utilità nella pratica clinica. Inoltre, sembra che l’esecuzione di compiti motori controllati a livello mandibolare abbia un effetto positivo sulla postura corporea in termini di riduzione delle oscillazioni, suggerendo quindi che i feedback propriocettivi occlusali abbiano un ruolo importante ma indipendente dalla morfologia occlusale nel controllo dell’appoggio plantare12.
La relazione occluso-posturale in rapporto ai sintomi di TMD
Nonostante la plausibilità biologica della relazione tra occlusione dentale e postura corporea, emergono alcune problematiche nell’interpretazione delle varie ipotesi in chiave fisiopatologica e nel trasferimento di informazioni alla pratica clinica; tra questi, il problema inerente alle difficoltà di misurazione e quello relativo alla mancanza di relazione tra caratteristiche occluso-posturali e la presenza di sintomatologia clinica.
Per quanto riguarda il primo punto (misurazione delle variabili occluso-posturali), negli anni sono stati proposti numerosi approcci mediante strumenti elettronici mirati a quantificare i vari parametri di funzionamento neuromuscolare, in primis l’elettromiografia di superficie (sEMG), la kinesiografia (KG) e la pedana stabilometrica. Parimenti, sono stati compiuti notevoli sforzi in ambito di ricerca nel tentativo di verificare la ripetibilità dell’approccio strumentale allo studio del sistema stomatognatico e delle relazioni occluso-posturali13-16. Tali apparecchiature presentano limiti riguardo all’assenza di valori normativi di riferimento sia a livello di gruppi di soggetti con caratteristiche somatiche simili (età, sesso, peso, altezza, tipologia facciale) sia a livello individuale e l’interpretazione dei dati è spesso difficoltosa anche a causa dell’alta variabilità intra- e inter-operatore sia per misure singole che ripetute17.
La maggior parte dei dati strumentali sull’analisi del sistema stomatognatico deriva dall’impiego dell’elettromiografia di superficie, che costituisce uno strumento di misura del fenomeno bioelettrico della contrazione muscolare e fornisce quindi indicazioni circa le proprietà muscolari, in modo non invasivo, attraverso la superficie cutanea intatta. Secondo i suggerimenti dell’American Academy of Neurology, la sEMG è uno strumento accettabile per l’analisi kinesiologica dei disordini del movimento, per differenziare diversi tipi di tremore, miocloni e distonia, per valutare i disturbi del passo e della postura e per valutare le misure psicofisiche di reazione e i tempi di movimento18. Il facile accesso anatomico offerto dai muscoli masticatori e, in particolare, dai muscoli massetere superficiale e temporale anteriore ha permesso una grande diffusione della sEMG in Odontoiatria, sia nel campo della ricerca di base sia in quello clinico, a partire dai primi lavori risalenti alla metà del secolo scorso19-21. Un importante contributo alla diffusione della metodica provenne da Jankelson22, che sviluppò un approccio neuromuscolare all’Odontoiatria proponendo una puntuale metodica EMG, accompagnata da una serie di appositi strumenti di misura, per la diagnosi e il monitoraggio della terapia.
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Tuttavia, nonostante la rapida diffusione della metodica, pochi ricercatori focalizzarono la loro attenzione sull’affidabilità e accuratezza degli strumenti disponibili, tanto che le review della letteratura odontoiatrica disponibili sull’argomento hanno da sempre sottolineato come gran parte degli Autori non abbia compreso i limiti della metodica23. È stato infatti dimostrato che un uso appropriato della sEMG mediante un ben controllato protocollo sperimentale può ridurre in modo drastico gli effetti dei fattori non fisiologici e rendere tale esame uno strumento potente ed efficace per l’analisi dell’apparato stomatognatico e per la comprensione della fisiologia dei muscoli elevatori della mandibola24. È pertanto fondamentale sottolineare che il principale campo di applicazione dell’elettromiografia di superficie dei muscoli masticatori resta quello della ricerca, mentre esistono forti limiti alla sua applicabilità clinica a scopo diagnostico25, soprattutto per quanto riguarda l’elettromiografia a riposo dei muscoli masticatori.
Per quanto concerne il secondo punto (relazione tra caratteristiche occluso-posturali e sintomatologia clinica), che riveste ovviamente importanza cruciale per un eventuale impatto in termini di decision making nella clinica dei disordini temporomandibolari, da anni la letteratura ha dimostrato la scarsa importanza delle variabili occlusali come fattore predittivo dei TMD in modelli multivariati26,27. Tale scarsa, o al massimo debole, associazione con i sintomi clinici riguarda anche la curvatura del rachide cervicale28 e le caratteristiche dell’appoggio plantare12.
Dal punto di vista storico, il ruolo dell’occlusione come fattore eziologico nei TMD è stato per anni al centro di accesi dibattiti ed è stato talvolta definito come “scontro di culture”, ossia una diatriba tra chi non vede nell’occlusione un primum movens eziologico e coloro i quali riconducono la presenza di segni e sintomi di TMD a una qualche anomalia occlusale. In realtà, tutte le revisioni sistematiche della letteratura condotte finora hanno dimostrato che l’evidenza scientifica non supporta l’impiego di trattamenti occlusali irreversibili come approccio terapeutico o preventivo ai TMD29-32.
L’origine delle teorie occlusali sull’eziologia dei TMD viene fatta risalire agli anni Trenta, con i lavori di Costen, un otorinolaringoiatra che descrisse un insieme di sintomi algici in zona preauricolare attribuendone la causa a una perdita del supporto occlusale posteriore33. Sebbene le prime pubblicazioni sulle patologie dell’articolazione temporomandibolare (ATM) risalissero addirittura al secolo precedente34 e pur non essendone quindi lui lo “scopritore”, la sindrome descritta prese il nome di Costen e tutt’oggi, a più di settantacinque anni di distanza, non è raro trovare ancora riferimenti a tale nomenclatura anche in sede specialistica o di consulenza medico-legale. In realtà, dal punto di vista storico il ruolo più importante svolto da tali precursori della moderna gnatologia è stato quello di aver investito gli odontoiatri del compito di trattare i pazienti con TMD. Negli anni, sebbene alcuni Autori avessero già intuito che l’occlusione non poteva essere il solo fattore eziologico per i TMD e che, anzi, elementi di tipo psicosociale giocano un ruolo fondamentale35, gli studi sulla relazione tra occlusione e TMD si sono susseguiti secondo almeno due filoni di ricerca principali, ossia la ricerca dell’associazione statistica tra determinate caratteristiche occlusali e la presenza di segni e sintomi di TMD e il tentativo di riprodurre sperimentalmente situazioni di stress e sovraccarico occlusale per verificarne le potenzialità lesive sull’ATM e i muscoli masticatori. Ipotesi di una relazione causale con i TMD sono state formulate per numerose variabili occlusali, quali ad esempio il morso incrociato monolaterale, il morso aperto anteriore, il morso profondo, la perdita di supporto occlusale posteriore. In realtà, studi condotti con adeguati mezzi statistici di corretta applicazione in campo biologico hanno ridimensionato il ruolo di tali variabili occlusali sia per quanto riguarda l’associazione con disordini dell’ATM26 che con disordini di tipo muscolare36, suggerendone un potenziale ruolo come semplice mezzo attraverso il quale le forze muscolari sviluppate durante le attività parafunzionali si trasmettono alle diverse strutture del sistema stomatognatico37. La linea di evidenza più accreditata è che in molti casi la presenza di anomalie occlusali in pazienti con TMD sia addirittura riconducibile a una degenerazione e/o rimodellamento articolare con conseguente shift occlusale38.
Per quanto riguarda gli esperimenti nei quali è stata testata la potenzialità di interferenze occlusali di provocare l’insorgenza di segni e sintomi di TMD, l’evidenza che emerge dai numerosi studi su modelli umani e animali è che eventuali interferenze iatrogene (per esempio, restauri occlusali sovradimensionati) possano essere, nella peggiore delle ipotesi, traumatiche localmente. In poche parole, esse richiedono un adattamento posturale e funzionale negli schemi masticatori che raramente si traduce in sintomi quali dolorabilità dentale e/o muscolare. Inoltre, quando occorrono, questi effetti sembrano essere perlopiù transitori e facilmente reversibili con la correzione dell’interferenza iatrogena. Dati dei più recenti studi sperimentali, con disegno randomizzato e controllato, suggeriscono che in soggetti sani l’introduzione di un’interferenza occlusale porta a una riduzione dell’abituale attività elettromiografica dei muscoli masseteri39 e non influenza significativamente la soglia di dolore alla palpazione40.
Interessanti osservazioni sono state suggerite anche da un lavoro nel quale è stata riportata la tendenza dei soggetti con una storia passata di TMD a rispondere differentemente alle interferenze occlusali iatrogene rispetto agli individui senza una storia di TMD41. I risultati indicano che i primi hanno un maggior rischio di sviluppare dolorabilità alla palpazione muscolare in risposta ad alterazioni dell’occlusione a seguito di procedure odontoiatriche. Tali osservazioni dovrebbero essere tenute in considerazione nel momento dell’esecuzione di trattamenti occlusali irreversibili, quali riabilitazioni protesiche od ortodontiche (basati su indicazioni protesiche e ortodontiche rispettivamente), che possono essere associati a fasi di instabilità occlusale (per esempio, protesi provvisorie, incrementi di dimensione verticale, spostamenti dentari). Ovviamente, sebbene inizialmente la pubblicazione di tale lavoro avesse garantito nuova linfa ai propositori delle teorie occlusali nell’eziologia dei TMD42, è fondamentale evitare una sovrastima dell’importanza di tali risultati. Innanzitutto, la risposta all’inserimento delle interferenze non equivale alla presenza di TMD e, inoltre, un cambiamento occlusale acuto, quale quello simulato nei vari studi sperimentali, non costituisce un adeguato termine di paragone con una situazione clinica di dentatura naturale non “ideale” alla quale il paziente si conforma nel corso degli anni grazie alle eccezionali capacità di adattamento del sistema neuromuscolare43,44. Pertanto, se da un lato devono essere incoraggiati in ambito di ricerca tentativi di standardizzazione e in ambito clinico un impiego più razionale delle tecniche strumentali disponibili, dall’altro è comunque bene sottolineare la multifattorialità eziologica dei TMD e la ben nota difficoltà a riconoscere un fattore causale, motivo per cui anche l’eventuale associazione tra caratteristiche posturali e sintomi di TMD che saltuariamente è stata descritta in letteratura non può in nessun caso autorizzare interpretazioni di causa-effetto. Ovviamente, è comunque importante rimarcare il fatto che l’occlusione non può essere considerata “terra di nessuno”, e l’applicazione delle semplici regole di buona condotta occlusale in protesi e ortodonzia resta un caposaldo fondamentale per non correre il rischio di causare danno iatrogeno.
In conseguenza delle suddette osservazioni, un approccio meccanicistico alla risoluzione dei sintomi di TMD mediante modifiche irreversibili dell’occlusione (ortodonzia, protesi, molaggio selettivo), spesso suggerito e/o conseguente all’impiego di tecniche strumentali per la diagnosi occlusale e temporomandibolare, è fortemente sconsigliato dal punto di vista scientifico e assolutamente da condannare eticamente45. In virtù della scarsa conoscenza sull’eziologia dei TMD a livello individuale, e anche a seguito delle incoraggianti percentuali di successo terapeutico riconosciute a molteplici approcci di tipo conservativo, lo standard of care in ambiti terapeutici è oggi rappresentato da un’attenta gestione della sintomatologia clinica mediante mezzi reversibili e a basso costo biologico. In linea con i dettami delle recenti linee guida dell’International Association for Dental Research46, il trattamento dei TMD consiste infatti nella maggioranza dei casi in una gestione dei sintomi attraverso approcci conservativi – quali placche occlusali, fisioterapia, farmacoterapia, terapia cognitivo-comportamentale, terapia fisica – applicati in un contesto biopsicosociale. In una elevata percentuale di casi, infatti, il successo terapeutico sembra dovuto a un’azione aspecifica in relazione con fenomeni di fluttuazione e autolimitazione dei sintomi, regressione verso la media e effetto placebo47,48. Il significato patologico di presunte anomalie, quali ad esempio un rumore di click articolare, è stato fortemente ridimensionato dalla letteratura49, e sempre maggiori evidenze supportano l’ipotesi che i casi di cronicizzazione dei sintomi siano dovuti all’instaurarsi di fenomeni di sensitizzazione centrale che richiedono un approccio terapeutico multidisciplinare50. In sintesi, i TMD non sono patologie occlusali, ma bensì disordini muscolo-scheletrici che richiedono una gestione dei segni e dei sintomi clinici in linea con gli standard adottati per patologie simili in altri ambiti specialistici (per esempio, reumatologici, fisiatrici, ortopedici) e, nei casi più severi, un supporto nella gestione del dolore cronico da parte di altri specialisti (neurologo, psichiatra, psicologo).
Potenzialità diagnostiche dell’analisi strumentale
L’idea di quantificare strumentalmente un parametro clinico riveste un fascino notevole e assume fondamentale importanza in caso di patologie life-threatening per la diagnosi delle quali si voglia ridurre la componente di soggettività propria dell’arte medica. In realtà, affinché possa avere utilità clinica uno strumento deve avere una validità sia di tipo intrinseco che estrinseco. La prima è la risultante dei fattori che determinano la ripetibilità e l’efficacia tecnica dell’esame, mentre la seconda consiste nella capacità di uno strumento di misurare realmente il principale indicatore di patologia, ossia di poter discriminare tra soggetti sani e malati.
Nel caso dei disordini temporomandibolari, il principale indicatore è la presenza di dolore e la necessità di avere una corrispondenza obiettivabile tra sintomo clinico (per esempio, dolorabilità alla palpazione) e segno strumentale ha portato negli anni a ridimensionare il ruolo e a chiarire le indicazioni di una tecnica diagnostica per immagini molto efficace quale la risonanza magnetica51,52 sulla base dell’influenza che la sua prescrizione ha in termini di clinical decision-making e treatment-planning53.
Un simile ragionamento deve quindi essere condotto per definire l’utilità clinica della sEMG, della kinesiografia e della pedana stabilometrica, la cui validità interna è già di per sé fonte di problemi se l’esame non è eseguito in condizioni rigidamente controllate. Inoltre, negli anni si è accumulata una notevole quantità di lavori della letteratura che sottolineano la scarsa accuratezza di tali tecniche nel discriminare tra pazienti con TMD e soggetti sani17,23,54-56, non supportandone quindi l’impiego nell’approccio diagnostico-terapeutico ai pazienti con disordini temporomandibolari a causa di una percentuale di falsi positivi che per alcuni parametri (per esempio, valori sEMG a riposo, tutti i parametri kinesiografici e posturometrici) raggiunge l’80%57. Nonostante tali limiti, la letteratura scientifica ha comunque dimostrato che l’applicabilità clinica della sEMG può avere interessanti sviluppi qualora vengano considerati altri parametri, in particolare il massimo serramento volontario. Infatti, come descritto nel modello di adattamento al dolore e nelle sue successive integrazioni58,59, in presenza di sofferenza il reclutamento delle unità motorie non è ottimale e i muscoli dolenti non sono in grado di sviluppare una forza pari a quella fisiologica. In questo caso opportune procedure di standardizzazione e un protocollo ben controllato permettono misure affidabili e riproducibili14, con valori di sensibilità e specificità intorno all’80%57. Quando tale tipo di sEMG standardizzata è stata testata come protocollo diagnostico per differenziare pazienti con TMD e pazienti con disordini muscolo-scheletrici del collo, la sensibilità e la specificità sono risultate rispettivamente pari a 86% e 92%60. Uno studio recente61 ha dimostrato che l’impiego di tecniche di normalizzazione dei dati EMG e la creazione di indici di lavoro muscolare ha discrete potenzialità di discriminare tra pazienti appartenenti a diversi sottogruppi dei criteri diagnostici di ricerca per i TMD62, ma non è in grado di riconoscere accuratamente i soggetti sani. Ciò dimostra che, anche in ambito di ricerca, le migliori e più controllate procedure strumentali disponibili possono supportare la diagnosi clinica ma non sostituirla in toto.
Nel caso delle apparecchiature strumentali posturometriche, quali i vari tipi di pedane stabilometriche e baropodometriche, e delle diverse tecniche cliniche di analisi posturale, la misura della specificità e della sensibilità in ambito odontoiatrico non è reperibile in letteratura. Inoltre, l’utilità di questi strumenti in Odontoiatria, in particolare nel campo della diagnosi dei TMD, è praticamente nulla56. I dati disponibili in letteratura sono stati sintetizzati in una recente review che ha dimostrato la scarsa qualità metodologica dei lavori eseguiti, l’esigua riproducibilità delle varie metodiche e l’impossibilità di intercettare i pazienti con TMD rispetto ai soggetti sani56. In particolare, solo due lavori sui 21 inclusi nella review hanno individuato una differenza tra i gruppi (sintomatici vs asintomatici) superiore alla variabilità del parametro testato. Tali criteri nei due studi erano, rispettivamente, l’indice di asimmetria dell’area di oscillazione corporea su pedana stabilometrica a uso di ricerca in condizioni strettamente controllate63 e alcuni parametri clinici per l’analisi posturale del tronco sul piano sagittale64. In generale quindi la larga maggioranza dei lavori sull’argomento, indipendentemente dalle conclusioni spesso incredibilmente fuorvianti degli Autori verso una potenziale utilità dell’analisi posturale in Odontoiatria non supportata dai dati in realtà negativi dei loro stessi studi65, non ne avvalora l’impiego10,66-68.
Un aspetto fondamentale da sottolineare è comunque quello delle differenze tra indagini elettromiografiche e posturali eseguite in ambiti di ricerca e l’impiego clinico che ne viene fatto mediante apparecchiature commerciali, in condizioni non ideali e sulla base di assiomi di fisiopatologia mai dimostrati. Infatti, uno dei problemi principali alla base dello scetticismo della comunità scientifica verso l’impiego clinico di tali strumenti è l’utilizzo commerciale che di essi è stato fatto spesso al solo fine di diagnosticare presunte anomalie occluso-posturali responsabili di sintomi temporomandibolari e di impostare piani terapeutici di finalizzazione occlusale irreversibile consequenziali. Una tale catena di eventi non può essere giustificata alla luce delle attuali evidenze scientifiche, prima fra tutte la non necessità di intervenire irreversibilmente sull’occlusione al solo fine di gestire i sintomi di TMD. Da ciò deriva un ingiustificato rischio di overtreatment, le cui implicazioni etiche e conseguenze biologiche, psicologiche e sociali sono sempre più fonte di preoccupazione e di dibattito medico-legale57. Ciononostante, è sempre bene ricordare che tali critiche riguardano in primis le apparecchiature commerciali attualmente disponibili e il loro indiscriminato impiego, e che non si deve pertanto scoraggiare a prescindere l’impiego di indagini strumentali dedicate a scopo di ricerca, che è viceversa fondamentale per comprendere la fisiopatologia dell’apparato stomatognatico.
Conclusioni
In conclusione, non ci sono evidenze che la relazione tra caratteristiche occlusali e posturali e la presenza di sintomatologia a livello del sistema stomatognatico sia predicibile e che approcci basati sulla diagnosi e sulla correzione di presunte anomalie strumentali e/o occluso-posturali possano trovare spazio nella clinica dei TMD. L’utilizzo di tecniche di analisi strumentale dell’occlusione e della postura corporea è al momento da raccomandare al solo scopo di ricerca, al fine di chiarire i molteplici aspetti di variabilità individuale e di poter fornire in futuro raccomandazioni basate su considerazioni diagnostico-terapeutiche individualizzate.
L’attuale evidenza scientifica suggerisce comunque che, dal punto di vista medico-legale, le conseguenze derivanti dall’esposizione dei pazienti a ingiustificati overtreatment occlusali irreversibili e inutili esborsi economici al solo fine di ridurre la sintomatologia da TMD siano da configurarsi sotto peculiari profili di responsabilità professionale da chiarire a livello giurisprudenziale, mentre dal punto di vista etico si richiama alla necessità di dover intervenire nell’interesse del paziente e in linea con i principi di una medicina basata su evidenze scientifiche.
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Tommaso Castroflorio1
Marzia Segù2
Daniele Manfredini3
Marco Brady Bucci4
Luca Guarda Nardini3
Redento Peretta5
Giuseppe Perinetti6
Massimiliano Di Giosia7
1Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Direttore: Prof. Chiarella Sforza, Università degli Studi di Torino, Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia, Direttore: Prof. Cesare Debernardi
2Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze Clinico-Chirurgiche, Diagnostiche e Pediatriche – Poliambulatorio Monospecialistico di Odontoiatria, Prof. Vittorio Collesano
3Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Reparto di Chirurgia Maxillo-Facciale, Direttore: Prof. Giuseppe Ferronato
4Odontologo forense
5Università degli Studi di Padova, Scuola di Specializzazione in Chirurgia Maxillo-Facciale, Direttore: Prof. Giuseppe Ferronato
6Università degli Studi di Trieste, Dipartimento Universitario Clinico di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, Direttore: Prof. Secondo Guaschino
7Università degli Studi di Cagliari, Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia, Direttore: Prof. Vincenzo Piras