In ambito implantologico, la realizzazione dell’impronta di precisione rappresenta un punto di distacco fondamentale rispetto alle metodiche protesiche fisse su dente. Nel caso del moncone naturale, infatti, il dato anatomico da trasmettere è quello del margine di fine preparazione. Per quanto riguarda l’impianto, è fondamentale riportare la posizione della fixture. Tale aspetto, insieme con l’analisi della componentistica implantare e delle diverse sovrastrutture, ha guidato l’evoluzione di protocolli particolari nell’utilizzo dei cucchiai e degli elastomeri da impronta.
Questo articolo non vuole descrivere le metodiche, le quali fanno parte della pratica quotidiana di moltissimi professionisti, ma considerare alcune indicazioni presenti in letteratura, riguardanti tecniche e materiali in condizioni differenti e come questi possano influenzare la precisione dell’impronta. Si fa riferimento in particolare a quanto riferito nella systematic review di Papaspyridakos e colleghi. Tali dati vanno letti in ragione della presenza di diverse altre revisioni sistematiche sull’argomento, con possibili differenze a livello dei criteri di inclusione. Interessante ad esempio come non vengano osservati dati quali il tipo di connessione (interna o esterna) o il livello di impianto-abutment. Al contrario, viene presa in considerazione l’angolazione dell’impianto. Sembra che, oltre una soglia quantificabile in 20 gradi, questa possa influenzare la precisione della rilevazione.
Nel caso di edentulie complete, il primo aspetto considerato è l’adozione della tecnica splintata, che prevede cioè l’unione dei diversi transfer con un materiale rigido (resinoso). Sia gli studi in vitro che quelli clinici inducono a preferire questa metodica a quella non splintata. Il dato permane anche nei casi di edentulia parziale.
Considerando questo stesso parallelo, si può poi osservare come nei casi di edentulia totale sembri consigliabile la tecnica open tray rispetto a quella closed tray. Non si ha invece conferma della stessa indicazione per quanto riguarda le edentulie parziali.
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Ancora più marcata pare essere la situazione nel caso del trattamento della singola edentulia. Non vengono infatti riportate differenze riguardanti le comparazioni sopracitate.
Un altro dato di chiaro interesse pratico è quello riguardante il materiale da impronta. Il clinico infatti dovrebbe poter scegliere il prodotto che incontra maggiormente la propria manualità. Questa indicazione sembra essere confermata dalle evidenze, dato che nella maggior parte dei casi non si osservano differenze nel confronto tra polieteri e siliconi per addizione.
Concentrandosi infine sulle tecniche digitali di impronta, gli Autori non riportano studi in grado di soddisfare appieno i criteri d’inclusione, nella fattispecie studi comparativi. Va comunque osservato come lo scanning intraorale superi alcune problematiche che possono condizionare gli elastomeri: formazione di vuoti o bolle d’aria, distorsioni, polimerizzazione incompleta o mancata.