La disestesia occlusale (phantom bite)

Riassunto

La disestesia occlusale è un disturbo che insorge, non frequentemente, dopo cure odontoiatriche. Il quadro clinico è caratterizzato dal fatto che il paziente, nonostante le cure odontoiatriche siano state effettuate correttamente, riferisce, per più di sei mesi, un discomfort occlusale. Vi sono spesso dei disturbi psicologici concomitanti. È stata classificata come disturbo somatoforme e/o come fenomeno fantasma. Per la prevenzione è fondamentale, soprattutto nei pazienti che devono essere sottoposti a cure odontoiatriche complesse le quali richiedono una modifica dell’occlusione dentale, fare un’anamnesi iniziale approfondita (nei casi sospetti si possono somministrare dei test psicometrici) ed eseguire le cure nel modo più preciso possibile procedendo, quando possibile, per step. La terapia è comportamentale, psicologica, farmacologica, psicoterapica e gnatologica.

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Summary
The occlusal dysesthesia (phantom bite)

Occlusal dysesthesia is a disorder that can develop, not frequently, after dental treatment. The clinical picture is characterized by the fact that the patient, despite the dental care have been properly carried out, reports an occlusal discomfort for more than six months. In the literature it has been classified as a somatoform disorder and/or phantom phenomenon. There are often concurrent psychological disorders. To prevent this disorder is very important to take a good medical and dental history, especially in patients who have to undergo complex dental care and change of dental occlusion, and in suspected cases psychological tests can be used to evaluate the presence of psychological problems.  The management of this disorder can be very difficult and includes: education, cognitive behavioral therapy, psychotherapy and pharmacological treatment.

La disestesia occlusale fu descritta per la prima volta nel 1976 da Marbach come “la percezione da parte del paziente di un’occlusione dentale irregolare anche quando il dentista non evidenzia alcuna irregolarità…”; egli la chiamò “phantom bite”, sinonimo utilizzato ancora oggi. In una recente revisione sistematica della letteratura Hara e coll. danno la seguente definizione: “Una lamentela, persistente da almeno 6 mesi, di occlusione dentale non confortevole, la quale non corrisponde ad alterazioni fisiche rilevabili correlate all’occlusione, alla polpa dentale, al parodonto, ai muscoli masticatori o alle articolazioni temporo-mandibolari. Può esservi dolore concomitante, in genere di lieve intensità. I sintomi causano profonda sofferenza e inducono il paziente ad andare alla ricerca di trattamenti odontoiatrici”. Fortunatamente si tratta di un quadro clinico non frequente; è comunque necessario che il dentista impari a riconoscerlo e prevenirlo perché, quando si manifesta, può condurre a un insuccesso professionale o, in alcuni casi, a un contenzioso di carattere medico-legale. Essa insorge in genere dopo cure odontoiatriche di tipo conservativo, protesico, ortodontico, gnatologico o dopo molaggio selettivo. In tutti questi casi il dentista modifica l’occlusione del paziente con una risoluzione che, nella migliore delle ipotesi, è di qualche decina di micron (le cartine da articolazione più utilizzate sono spesse 40 micron), mentre la sensibilità occlusale si ritiene sia di 2-10 micron. Se il paziente riferisce dei precontatti o degli slivellamenti occlusali che il dentista non riesce a evidenziare, per più di 6 mesi, deve venire il dubbio che si tratti di un phantom bite. A questo punto la terapia non consiste più in una modifica dell’occlusione ma, come vedremo, in rieducazione comportamentale, psicoterapia, farmacoterapia e terapia gnatologica. Si pensa che questo quadro clinico sia dovuto a un’anomalia nella funzione neurologica e/o a problemi psicologici. Se il dentista non fa una diagnosi corretta e si avventura in modifiche occlusali, seguendo le indicazione del paziente, si innesca un circolo vizioso che non porta a una risoluzione del problema. Ci sono pazienti con disestesia occlusale che arrivano all’osservazione dello specialista dopo essersi sottoposti, senza successo ma anzi con un peggioramento del quadro clinico, alle cure di numerosi dentisti.

Definizione

La recente revisione sistematica della letteratura di Hara e coll. – effettuata su PumMed, Cochrane Library e sui dati della IADR (International Association for Dental Research) – ha analizzato 13 casi ritenuti idonei rispetto ai criteri di esclusione e di inclusione stabiliti. Sono stati presi, come indici di ricerca i termini: occlusal dysesthesia (disestesia occlusale), phantom bite (morso fantasma), unconfortable bite (morso disconfortevole), unconfortable occlusion (occlusione disconfortevole), occlusion neurosis (nevrosi occlusale), positive occlusal sense (senso occlusale positivo), positive occlusal awareness (vigilanza occlusale positiva), occlusal hyperawareness (ipervigilanza occlusale). Tutti questi termini sono quelli utilizzati nella letteratura per identificare la disestesia occlusale.Sono emersi dei dati caratteristici per questo disturbo, riportati in Tabella 1.
I sintomi riferiti dai pazienti erano:

  • sensazione duratura di contatti dentali prematuri o mancanti;
  • interferenze dentali durante i movimenti della mandibola;
  • scivolamenti durante la massima intercuspidazione;
  • chiusura dei denti non idonea;
  • sensazione di migrazione dei denti all’interno della bocca;
  • retrazioni gengivali;
  • concomitanti dolori oro-facciali.

Tab.1

I pazienti riferivano questi disturbi da almeno 6 mesi.  La funzione dell’apparato stomatognatico era compromessa in modo significativo. Sono stati esclusi evidenti problemi occlusali, dentali, parodontali, alle articolazioni temporo-mandibolari e ai muscoli masticatori. I pazienti riferivano che i sintomi erano insorti in seguito ai seguenti trattamenti odontoiatrici: restauri conservativi, corone protesiche fisse, protesi rimovibili parziali o complete, impianti, avulsioni dentarie, molaggi selettivi, terapie ortodontiche o utilizzo di bite occlusali. Per quanto riguarda gli aspetti psicologici sono stati riportati concomitanti eventi di depressione, ansia, disturbi somatoformi e personalità ossessivo-compulsive. Spesso il paziente con disestesia occlusale lamenta anche problemi estetici, sostenendo che la forma del viso o delle arcate dentarie si sono modificate e/o continuano a modificarsi in senso negativo, a volte notando asimmetrie inesistenti o riferibili alla norma. Secondo Marbach, una sensazione di phantom bite di breve durata è abbastanza diffusa. Molti pazienti che si sono sottoposti a cure odontoiatriche complesse hanno familiarità con una fase di adattamento che può richiedere anche un aggiustamento dei contatti dentali. Normalmente però il paziente si adatta senza particolari problemi alla nuova occlusione o ai nuovi materiali. Se il soggetto riferisce i sintomi sopra esposti per un periodo superiore a 6 mesi e, di conseguenza, “fissa” la sua attenzione sull’apparato stomatognatico e va alla continua ricerca di un’occlusione più confortevole, quasi sicuramente si tratta di una disestesia occlusale. I pazienti con phantom bite, dopo che il curante ha fallito tutti i tentativi terapeutici intrapresi allo scopo di creare un’occlusione “accettabile”, si rivolgono a diversi professionisti per avere ulteriori opinioni e richiedere nuovi interventi odontoiatrici, naturalmente senza successo. Quasi sempre iniziano la visita con un racconto prolisso e tedioso, ricco di minuziosi particolari, della propria storia clinica che molte volte presentano anche in forma scritta. In genere manifestano disappunto verso l’operato dei vari dentisti che li hanno curati precedentemente e non raramente riferiscono di aver intrapreso dei contenziosi di carattere medico legale. Poiché normalmente si “documentano”, sentendo pareri o raccogliendo informazioni su internet, quasi sempre danno suggerimenti al professionista su cosa bisognerebbe fare per ripristinare un’occlusione corretta. Se il dentista, sospettando trattarsi di una disestesia occlusale, rifiuta di effettuare gli interventi, diventano aggressivi. Qualora il dentista, malauguratamente, intraprenda delle cure, con la presunzione che i disturbi siano di natura occlusale e che i professionisti che sono intervenuti precedentemente non siano stati competenti, entra in un circolo vizioso che, come detto, non porta alla risoluzione del problema anzi, quasi sempre, peggiora il quadro clinico.

Inquadramento diagnostico

  • Le teorie proposte dai vari Autori per spiegare le cause della disestesia occlusale sono fondamentalmente tre:
  • la sensibilizzazione dei recettori parodontali;
  • l’origine psicologica;
  • l’insorgere di un phantom phemomenon (fenomeno fantasma).

Teoria della sensibilizzazione dei recettori parodontali

Si basa sul presupposto che i pazienti con panthom bite abbiano una soglia più bassa di attivazione dei recettori parodontali. La sensibilità di un sistema sensoriale è uguale a 1/soglia, per cui se diminuisce la soglia aumenta la sensibilità; la soglia assoluta si definisce come il più piccolo stimolo rilevabile. L’entità di una sensazione è in funzione dell’intensità dello stimolo che la produce secondo un rapporto matematico definito “funzione psicometrica” espressa dalla legge di Weber-Fechner (Figura 1).

1. Caratteristiche della funzione psicometrica.
1. Caratteristiche della funzione psicometrica.

Secondo Imeri e Mancia, “la soglia al di sotto della quale uno stimolo non viene percepito viene modificata da fattori psicologici e farmacologici”. Questo concetto ci porta a un collegamento con le altre due teorie, quella psicologica e quella del fenomeno fantasma.
Tsukiyama e coll. hanno effettuato recentemente uno studio clinico controllato su 12 pazienti affetti da disestesia occlusale rispetto a 12 pazienti sani volontari. È stata valutata la soglia di sensibilità dei recettori parodontali utilizzando dei blocchetti metallici di spessori diversi interposti fra i denti delle due arcate. Agli stessi pazienti sono stati somministrati due test psicologici: il GHQ60 e il POMS.  Il primo è composto da 4 sottoscale: sintomi somatici, ansia/insonnia, disturbo sociale e depressione severa. Il secondo da 6 sottoscale: ansia, depressione, ostilità, vigore, fatica e confusione. Riguardo alla soglia di sensibilità dei recettori parodontali non sono state trovate differenze significative fra i due gruppi. Lo stesso risultato era emerso da uno studio simile effettuato da Baba e coll. nel 2005. Pertanto si potrebbe escludere, almeno come causa principale della disestesia occlusale, una maggiore sensibilità dei recettori parodontali. Per quanto riguarda i risultati dei test psicologici, nello studio di Tsukiayama sono risultate delle differenze significative. Per il GHQ60 nel gruppo di studio, rispetto a quello di controllo, vi era uno score più alto per i sintomi somatici e per la depressione severa; per il POMS uno score più alto per la depressione e più basso per il vigore. Questi dati ci allacciano alla seconda ipotesi: l’origine psicologica.

Teoria dell’origine psicologica

Reeves e Merril hanno considerato la disestesia occlusale come un disturbo di tipo psicologico e ne hanno proposto un inquadramento secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dell’America Psychiatric Association, il DSM-IV-TR. A loro parere essa può essere classificata nell’ambito dei disturbi somatoformi  (Tabella 2), in particolare come disturbo somatoforme indifferenziato (Tabella 3).

Tab.2

Tab.3

Per quanto riguarda la diagnosi differenziale, rispetto ad altri disturbi somatoformi bisogna seguire i seguenti criteri.  Nel disturbo di somatizzazione devono sempre essere presenti, insieme a quelli pseudo-neurologici, anche sintomi dolorosi, gastro-intestinali e sessuali.
Rispetto al disturbo di conversione (Tabella 4) non è facile fare la distinzione; esso consiste nella presenza di sintomi causati da un conflitto psichico e convertiti inconsciamente in disturbi con caratteristiche simili a quelle di una malattia neurologica. Si parla di conversione in quanto il paziente converte il conflitto psicologico in un’affezione fisica, con perdita di funzioni motorie o sensitive. Storicamente potrebbe corrispondere al disturbo isterico descritto da Sigmund Freud.

Tab.4

In questo caso, però, l’agente eziologico che ha scatenato o esacerbato i sintomi non è una terapia odontoiatrica, ma un conflitto psicologico o uno stress rilevabili con un’accurata anamnesi psico-sociale. Si può fare facilmente una diagnosi differenziale rispetto al disturbo algico poiché in questo è prevalente il sintomo dolore, all’ipocondria, perché in questa prevale la preoccupazione di avere una malattia grave, e al disturbo di dismorfismo corporeo, poiché in questo caso prevale la preoccupazione per l’aspetto fisico. Secondo il DSM-IV-TR bisogna sempre escludere la presenza di un disturbo fittizio o di una simulazione. La caratteristica essenziale del disturbo fittizio (Tabella 5) è la produzione intenzionale di segni e sintomi fisici o psichici con la sola motivazione di assumere il ruolo di malato, senza incentivi esterni o ricerca di vantaggi. 

Tab. 5

La simulazione differisce dal disturbo fittizio poiché in questo caso il soggetto è consapevolmente motivato da un vantaggio esterno a simulare i segni e i sintomi. Nel caso di una disestesia occlusale la simulazione potrebbe essere motivata dalla speranza di ottenere un risarcimento economico in caso di contenzioso medico-legale con i dentisti che hanno effettuato le cure.

Teoria del phantom phenomenon

Marbach nel 1996 classifica il phantom bite fra i phanton phenomenon (fenomeni fantasma) orofacciali e ne individua la causa nella neuroplasticità, facendo riferimento alla Teoria della brain neuromatrix (neuromatrice cerebrale). Questa Teoria è stata proposta da Melzack, lo stesso Autore che diede il via agli studi sulla neurofisiologia del dolore con l’elaborazione della Teoria del cancello nel 1965, insieme a Wall (Figura 2).

2. Caratteristiche della neuromatrice secondo Melzack.
2. Caratteristiche della neuromatrice secondo Melzack.

Melzack si basa su quattro presupposti: vediamoli.

  • Primo: siccome i fenomeni fantasma non solo degli arti ma di altre parti del corpo, come per esempio la bocca, sono sensazioni reali, dobbiamo presupporre che queste siano conservate nel cervello; normalmente esse sono attivate e modulate da stimoli provenienti dal corpo, ma possono essere avocate anche in assenza di input periferici.
  • Secondo: tutte le afferenze sensoriali, incluso il dolore, normalmente sono dovute a stimoli provenienti dal corpo ma possono essere percepite anche in assenza di questi; da ciò si può concludere che i modelli da cui nasce la qualità dell’esperienza risiedono nella rete neuronale del cervello: gli stimoli periferici attivano questi modelli, ma non li producono.
  • Terzo: il corpo è percepito come un’unità, un sé, distinto dalle persone e dall’ambiente circostanti; questa esperienza di unità distinta è prodotta da processi che risiedono nel cervello e non deriva dal sistema nervoso periferico o dal midollo spinale.
  • Quarto: i processi cerebrali che sottendono alla percezione del sé sono determinati geneticamente, ma vengono continuamente modificati dall’esperienza (neuroplasticità).

Anatomicamente la neuromatrice è composta da una rete estesa di neuroni che creano un circuito fra il talamo e la corteccia e tra la corteccia e il sistema limbico. Quindi essa riceve impulsi dalla periferia, li elabora e modula l’attività dei neuroni che producono il movimento; di conseguenza regola il comportamento. In questo modo vengono integrate le funzioni percettive, emotive, cognitive e comportamentali. Il ripetersi di impulsi nervosi attraverso la neuromatrice, che attivano ciclicamente le medesime sinapsi, crea un modello di funzionamento specifico, una traccia mnestica, definito anche engramma, e denominata da Melzack “neurosignature” (traducibile come neuroimpronta). Secondo Marbach il ripetuto contatto delle cuspidi e delle fosse durante la funzione masticatoria crea una neuroimpronta a livello della neuromatrice. Qualora, in seguito a cure dentali, vengono modificati i contatti o i materiali, in pazienti predisposti si crea un’interpretazione ambigua fra la memoria dei contatti precedenti, perduti, e la percezione dei nuovi contatti a livello della neuroimpronta. Di conseguenza il paziente non riesce a riconoscere il nuovo modello di contatti occlusali e comincia ad andare alla ricerca di contatti corretti, senza riuscirvi. Il paragrafo seguente spiega come avviene la formazioni di engrammi a livello della neuromatrice e come può variare la capacità di adattamento dei pazienti.

Fisiopatologia

Normalmente l’apparato masticatorio lavora al di sotto della soglia della coscienza; ciò vuol dire che, pur essendo i muscoli masticatori muscoli striati, e quindi dipendenti dal controllo della volontà, le attività abituali – quali la fonazione, la deglutizione, la masticazione e anche le parafunzioni – avvengono, in situazione normale, in modo automatico. Fisiologicamente, nella situazione di riposo i denti delle due arcate sono separati da uno spazio libero; il contatto dentale avviene solo durante la deglutizione e la masticazione, sempre in modo automatico e al di sotto della coscienza. La Figura 3 mostra il tragitto che le afferenze provenienti dai recettori parodontali, e quindi dall’occlusione dentale, compiono per raggiungere la corteccia cosciente. Esse passano per il nucleo sensitivo principale del trigemino e probabilmente anche per il nucleo mesencefalico, il quale è la stazione di transito della sensibilità propriocettiva, che è quella del sistema muscolo-scheletrico.    

3. Tragitto che le afferenze provenienti dai recettori parodontali compiono per raggiungere la corteccia cosciente.
3. Tragitto che le afferenze provenienti dai recettori parodontali compiono per raggiungere la corteccia cosciente.

Dai nuclei trigeminali sale al talamo e, infine, alla corteccia la quale gestisce gli aspetti coscienti-cognitivi dell’attività cerebrale. Dato che, come già detto, normalmente la funzione abituale dell’apparato masticatorio lavora al di sotto della coscienza, è probabile che le afferenze dal talamo possano andare direttamente anche alle strutture del sistema extrapiramidale che regolano, attraverso vie discendenti, i movimenti ritmici e semiautomatici.  Se, per cure odontoiatriche, viene modificata l’occlusione, il paziente normalmente all’inizio può avvertire questi cambiamenti e, di conseguenza, i contatti occlusali vengono portati a livello cosciente. Ma grazie alla capacità di adattamento in breve tempo l’occlusione ritorna al di sotto della coscienza. La capacità di adattamento è determinata geneticamente, ma è influenzata da vari fattori soprattutto neurologici, psicologici e ormonali; pertanto varia da individuo a individuo e nello stesso individuo cambia nel tempo. Se il paziente possiede una bassa capacità di adattamento sente come “insopportabili” minime variazioni del contatto occlusale o dei materiali utilizzati e comincia a concentrare la sua attenzione sull’occlusione. In tal caso si instaura una ipervigilanza occlusale; il paziente focalizza tutta la sua attenzione sui contatti dentali e comincia a digrignare sui contatti che sente anormali e a iperattivare la muscolatura masticatoria alla ricerca di una posizione mandibolare confortevole che non trova.  A questo punto avvengono due fenomeni, uno centrale e uno periferico, che sostengono e peggiorano, se non interrotti, il quadro clinico. Il fenomeno centrale è conseguenza della neuroplasticità, per cui si ha una sensibilizzazione delle vie afferenti trigeminali che interessano il distretto oro-facciale. Tutto questo grazie al meccanismo della facilitazione a lungo termine (Figure 4, 5) per il quale quando uno stimolo sensitivo, in questo caso proveniente dai recettori parodontali e muscolo-scheletrici iperattivati, è forte e continuo nel neurone afferente entrano parecchi ioni calcio, vengono generati molti potenziali d’azione e innescate reazioni chimiche dette metabotropiche che hanno la capacità di aumentare il numero e il tipo di recettori e di neurotrasmettitori.

4. Ipotesi sull’origine della facilitazione sinaptica (PLT).
4. Ipotesi sull’origine della facilitazione sinaptica (PLT).

Ne consegue che per input afferenti di uguale intensità si ha un maggior numero di potenziali d’azione, si è creata, cioè, la sensibilizzazione centrale. A questo punto uno stimolo afferente debole viene recepito come forte, per cui il contatto dentale microscopico sembra una montagna, l’emozione aumenta di intensità, ne deriva uno stato di ansia secondaria, una sofferenza fisica o psicologica che diviene impossibile da sopportare, da cui la depressione secondaria.

5. Dolore o sensazioni sgradevoli che possono diventare cronici.
5. Dolore o sensazioni sgradevoli che possono diventare cronici.

Il fenomeno periferico è dovuto all’iperattività dei muscoli masticatori, conseguenza della continua ricerca da parte del paziente di una posizione confortevole, e all’ansia secondaria. Ciò può determinare un aumento del tono di base dei muscoli masticatori e, di conseguenza, un’attivazione del sistema gamma-efferente e una diminuzione dello spazio libero; ne consegue la difficoltà, da parte del paziente, di evitare il contatto dentale a riposo e un aumento del bruxismo con un peggioramento della sintomatologia.

Prevenzione

Per prevenire la disestesia occlusale il dentista deve seguire due regole fondamentali:

  • individuare i pazienti a rischio;
  • effettuare le modifiche dell’occlusione dentale in modo graduale.

Per individuare i pazienti a rischio è fondamentale effettuare, durante la prima visita, un’anamnesi e un esame clinico accurati, dedicando tutto il tempo necessario per stabilire una corretta relazione terapeutica. Esistono anche dei test psicometrici per la valutazione dei disturbi psicologici e psichiatrici che però sono di pertinenza degli specialisti. Per quanto riguarda le cure odontoiatriche, soprattutto quando bisogna effettuare delle modifiche sostanziali dell’occlusione dentale o dei materiali dentali, è opportuno procedere sempre per gradi, un passo alla volta (per esempio, nell’eseguire terapie di protesi fissa riabilitare, quando possibile, un quadrante alla volta) e utilizzare sempre la massima precisione possibile.
Verificare sempre le sensazioni del paziente e, quando lo stesso riferisce discomfort, non passare al gradino successivo fintanto che non è stato individuato il problema.
Utilizzare per la ricerca della posizione mandibolare una manovra abbastanza ripetibile e poco distalizzante, quale per esempio quella bimanuale secondo Dawson.

Terapia

La forme di terapia suggerite dalla letteratura nella disestesia occlusale sono riassunte nella Tabella 1. La rieducazione funzionale, gestita dal dentista o dal logopedista, ha lo scopo di insegnare al paziente come mantenere a riposo i muscoli masticatori rilassati, la lingua in posizione corretta e rispettare lo spazio libero occlusale. Non è facile, poiché spesso è presente una iperattività muscolare dovuta all’ansia e alla continua ricerca dell’occlusione da parte del paziente. Bisogna poi gestire l’eventuale presenza del bruxismo notturno, che è un disturbo motorio correlato al sonno (ICSD-2). La psicoterapia, secondo Reeves e Merril, deve agire principalmente sui seguenti aspetti: cognizione, attenzione, contesto reale e umore. Le forme di terapia rivolte a questi obiettivi sono soprattutto quelle cognitivo-comportamentali.  Vanno trattati anche, secondo le indicazioni del caso, eventuali disturbi psicologici concomitanti. Il rilassamento muscolare ha lo scopo di ridurre l’iperattività dei muscoli masticatori. Le forme di trattamento utilizzate sono lo stretching e il biofeedback. Quest’ultimo può consistere nel semplice training elettromiografico, per il rilassamento dei masseteri, o nel training più complesso che associa anche la gestione dello stress. La placca occlusale (bite) consigliata è quella di stabilizzazione, definita anche placca di Michigan. Lo scopo del bite è di svincolare i contatti occlusali, distrarre l’attenzione del paziente dall’occlusione e sfruttare l’effetto placebo. Secondo Reeves e Merril, però, il bite stesso sarebbe controindicato perché avrebbe l’effetto opposto, cioè accentuerebbe la vigilanza occlusale. Le linee guida per la farmacoterapia sono riassunte nella Tabella 6.

Tab.6

Conclusioni

Quando il dentista si trova di fronte a un paziente che presenta il quadro clinico descritto della disestesia occlusale non deve assolutamente pensare di risolvere il disturbo modificando i contatti occlusali del paziente. La causa del disturbo è da ricercare in un’alterazione funzionale del sistema nervoso centrale e/o in un disturbo psicologico. Pertanto, premesso che comunque l’occlusione dentale deve rispettare i canoni dettati dalla buona pratica, la terapia è soprattutto di tipo comportamentale, psicologico, farmacologico e gnatologico. 

Corrispondenza
Domenico Viscuso
Piazza del Liberty, 8 – Milano
www.domenicoviscuso.it – d.viscuso@libero.it

Domenico Viscuso
Mario Molina
Istituto Stomatologico Italiano, Reparto di Gnatologia (responsabile professor M. Molina), Milano

La disestesia occlusale (phantom bite) - Ultima modifica: 2012-11-29T18:12:43+00:00 da paolavitaliani

1 commento

  1. Il ruolo del sistema neuronale nella patogenesi della sindrome e’ determinante quanto quello della psiche , e forse un approccio terapeutico con medicina integrata ,che faccia uno di strumenti di medicina naturale ,pottrebbe dare risultati.