INTRODUZIONE ALLA RADIOLOGIA DEL SENO MASCELLARE.
Dopo aver trattato dell’anatomia del seno mascellare, fondamentale preambolo da conoscere per ben diagnosticare e trattare ciascuna patologia di questo distretto, anche queste descritte in un articolo precedente, è necessario conoscere le opportune metodiche radiografiche che possono essere effettuate al fine di poter trattare correttamente le atrofie del mascellare superiore che coinvolgano i settori posteriori e quindi, da vicino, il seno mascellare.
Metodiche radiografiche per la valutazione del seno mascellare
1. ortopantomografia.
2. Posteroanteriore ,con inclinazione di 15 gradi, o proiezione di Waters
3. Radiografia occlusale, inclinata di 60° .
4.TAC e Cone beam.
Le principali tecniche per il trattamento di atrofia nel settore mascellare superiore sono:
- Grande rialzo di seno mascellare
- Piccolo rialzo, o rialzo con tecnica di Summers
- Espansione ossea sagittale (split-crest)
Grande rialzo di seno mascellare
Per grande rialzo del seno mascellare si intende una tecnica chirurgica volta ad incrementare la quantità di osso disponibile nella regione posteriore del mascellare superiore, dove la pneumatizzazione dell’antro di Higmoro da un lato e il riassorbimento del processo alveolare edentulo dall’altro spesso concorrono nel rendere impossibile una riabilitazione protesica ad ancoraggio implantare. È stato Linkow il primo, alla fine degli anni ‘60, a descrivere la possibilità di introdurre degli impianti a lama nel seno mascellare, sollevando parzialmente la membrana di Schneider senza lacerarla. Tatum nel 1975 ha proposto di alzare la membrana sinusale eseguendo una CaldwellLuc modificata, definita successivamente “inverted lateral window”, inserendo, come innesto, osso autologo prelevato in sede costale (Tatum,1986). Il rialzo della membrana del seno mascellare è stato, insieme all’espansione crestale, l’intervento che ha fatto conoscere ed apprezzare la tecnica chirurgica piezoelettrica (Torrella, 1998; Vercellotti, 2001).
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Video inserito su Youtube da Dr Kuljeet Mehta
L’utilizzo di un inserto diamantato a media potenza e media frequenza permette di erodere l’osso fino alla membrana di Schneider, senza correre il rischio di lederla (Wallace, 2007). Dopo aver visualizzato la membrana del seno con la punta diamantata, si inizia a scollarla dal pavimento osseo utilizzando un inserto liscio a cono rovesciato a bassa potenza e frequenza. Quindi, sempre a bassa potenza, con scollatori smussi non taglienti, si può terminare la mobilizzazione della membrana. Altri autori ritengono che non ci siano differenze percentualmente significative di perforazioni della membrana di Schneider tra l’uso della tecnica piezoelettrica e gli strumenti rotanti (Barone, 2008), ma bisogna considerare che la perforazione può intervenire anche in un secondo momento, durante il ribaltamento della finestra ossea o lo scollamento della membrana stessa. Il rialzo del pavimento del seno mascellare consiste quindi nello scollamento ed elevazione della membrana di Schneider. Questa può essere mantenuta sollevata dal materiale osteogenico, che viene posizionato nello spazio libero creatosi, o dagli impianti stessi inseriti contestualmente qualora le condizioni e i volumi di osso basale lo consentano. La letteratura su questo tema riporta infatti che, in presenza di almeno 56 mm di cresta ossea residua al di sotto del seno mascellare, è possibile eseguire una tecnica monofasica, al posto della tradizionale in due tempi (Boyne, 1980; Tatum, 1986). Nella tecnica bifasica è necessario prima riempire lo spazio fra la membrana riposizionata e il pavimento osseo del seno. Anche in questo caso il materiale di prima scelta è l’osso autologo. Numerosi autori hanno presentato lavori utilizzando osso omologo, eterologo, sostituti ossei alloplastici, oppure una combinazione di osso autologo e materiale allogenico/ alloplastico (Boyne, 1980; Hurzeler, 1996). La seconda fase chirurgica consiste nell’inserimento degli impianti nell’osso neoformato. Nei casi con meno di 5 mm di altezza ossea Khoury (1999) e Tulasne (1999) hanno proposto di procedere in un solo tempo, stabilizzando gli impianti con un innesto a blocco inserito nell’antro sinusale.
Parte del testo qui riportato è tratto dal libro ” RIABILITAZIONI IMPLANTOPROTESICHE E CHIRURGIA MINIMAMENTE INVASIVA” di Enrico Gherlone.
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