Stefano Volpe
Clinica Feltre/Fiera di Primiero Implant Research Group
Riassunto
Gli obiettivi estetici dell’odontoiatria implantare dovrebbero essere simili a quelli della protesi convenzionale. Nelle riabilitazioni implanto-protesiche nei settori anteriori la quantità e la qualità del tessuto duro e molle giocano un ruolo fondamentale per ottenere l’estetica desiderata e per integrare il restauro in modo completo e armonioso nella dentatura anteriore esistente. La presenza di un’architettura ossea insufficiente può precludere la possibilità di inserire gli impianti in una posizione tridimensionale corretta. Le tecniche di chirurgia plastica parodontale ci aiutano a correggere i difetti del tessuto molle perso durante la guarigione del sito edentulo e a creare un’adeguata zona di gengiva aderente attorno ai restauri. Inoltre, il successo estetico richiede di creare un corretto tragitto trasmucoso, durante le fasi protesiche provvisorie, che dovrà essere replicato e mantenuto con le corone definitive.
Summary
Aesthetics and soft tissue in implantology
Implant treatment goals should be similar to those of conventional reabilitation. In the prosthetic implant restoration of the anterior area, the quantity and quality of hard and soft tissues play a key role to achive the desired aesthetic results and to integrate harmoniously into the existing front teeth. Poor bone architecture can prevent the possibility to put implants in a proper three dimensional position. The use of periodontal plastic surgery techniques helps us to solve the problems of soft tissue lost during the healing of the edentulous site and to create an adequate zone of attached gingiva around implants. Furthermore, the aesthetic success requires to create a proper emergence profile by temporary prosthetic phases that will have to be replicated and maintained with the final crows.
La sostituzione di denti singoli con una corona impianto-supportata è diventata l’indicazione più frequente per la terapia implantare. L’utilizzo degli impianti dentali nelle zone estetiche è ben documentato in letteratura con alti tassi di successo che variano dal 96,1% al 98,9% dopo 7 anni di funzione1,2. Originariamente gli obiettivi primari di una terapia implantare erano finalizzati all’osteointegrazione e al ripristino della funzione masticatoria. Nell’ultimo decennio il risultato estetico è diventato uno degli obiettivi principali e rappresenta una sfida per i clinici e gli odontotecnici che devono confrontarsi con vari aspetti riabilitativi che potenzialmente possono compromettere il risultato finale.
Nella riabilitazione di un elemento singolo la presenza dei denti naturali vicini crea un confronto immediato fra il naturale e la sua riproduzione, di conseguenza viene richiesta una più alta qualità estetica rispetto a una riabilitazione di corone multiple. In tutto ciò la corretta gestione chirurgica e protesica dei tessuti molli gioca un ruolo fondamentale.
Meijer A. nel 20053 fa queste considerazioni:
- la posizione della parabola vestibolare deve essere allo stesso livello del controlaterale e in armonia con i denti adiacenti;
- le papille interdentali devono essere ben rappresentare e chiudere completamente lo spazio interdentale;
- il colore della mucosa e la presenza di una banda di tessuto connettivo devono avere un aspetto naturale;
- la dimensione mesio-distale, la convessità, la traslucenza e le caratteristiche superficiali di tessitura della corona devono essere in armonia con i denti adiacenti e con il contro laterale.
Dare un aspetto naturale a una riabilitazione su impianti dipende da una corretta pianificazione sia chirurgica che protesica e dalla presenza di un’anatomia residua ottimale. La creazione di un contorno di tessuto molle con papille intatte e profilo gengivale in armonia con le parabole dei denti adiacenti è il fattore più difficile da ottenere. L’iniziale valutazione del sito edentulo deve includere una pianificazione per l’incremento o la preservazione dei tessuti duri e molli. I clinici devono essere in grado di pianificare ogni caso secondo fasi interdisciplinari e sequenziali del piano di trattamento: 1) estrazione atraumatica dell’elemento dentario, 2) preservazione o incremento del tessuto duro e/o molle, 3) corretto inserimento tridimensionale dell’impianto, 4) successivo condizionamento dei tessuti molli con monconi o con corone provvisorie, 5) restauro definitivo, con un pilastro capace di sostenere e replicare fedelmente il tragitto trasmucoso precedentemente disegnato e una corona con caratteristiche di forma, colore, traslucenza e tessitura che replicano fedelmente i denti vicini. In questo articolo cercheremo di illustrare passo dopo passo i fondamenti biologici-clinici e protesici delle riabilitazioni implantari nei settori anteriori.
Considerazioni anatomiche e chirurgiche
L’altezza dell’osso verticale della cresta alveolare nelle aree interprossimali e l’altezza e lo spessore della parete ossea vestibolare hanno un ruolo determinante per una corretta posizione e inclinazione dell’impianto e per il futuro contorno del tessuto molle. I tessuti molli seguono l’osso nei suoi processi di rimodellamento. Nel momento dell’inserimento di un abutment di guarigione si svilupperà un riassorbimento osseo di circa 1,5 mm al di sotto della testa dell’impianto con la formazione di un cratere con larghezza di 1,3-1,4 mm4. Herman J.S.5 ha dimostrato sul modello animale che l’osso si riposiziona a circa 2 mm apicale alla giunzione impianto moncone, indipendentemente dalla profondità di inserimento dell’impianto dalla cresta ossea. Il riassorbimento della cresta ossea marginale, documentato in studi sperimentali e clinici, si verifica a causa del rimodellamento del tessuto molle per ripristinare un’appropriata ampiezza biologica perimplantare6. Durante i carichi masticatori al livello della connessione impianto-abutment si genera un microgap sede di colonizzazione batterica con formazione di processi infiammatori e conseguente riassorbimento dell’osso crestale7. Nel tentativo di controllare il riassorbimento dell’osso e preservare l’altezza della cresta ossea stessa sono stati proposti diversi disegni di impianti e connessioni: l’impianto festonato8, la connessione conica, il cambiamento della piattaforma9,10. Il concetto di platform-switching consiste nell’utilizzo di un moncone di diametro inferiore rispetto al diametro della piattaforma implantare, ciò al fine di allontanare il microgap della connessione implanto-protesica dal tessuto osseo perimplantare preservandolo così dal riassorbimento (Figure 1a-1b).
![Fig. 1a - Rx che evidenzia il fisiologico riassorbimento osseo perimlantare (Neoss Ldt, Harrogate UK).](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe001a-283x307.jpg)
![Fig. 1b - Rx che evidenzia l’apposizione di tessuto osseo sulla spalla dell’impianto con platform-switching (Neoss Ldt, Harrogate UK).](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe001b-286x307.jpg)
platform-switching (Neoss Ldt, Harrogate UK).
Sempre nel tentativo di contrastare il riassorbimento osseo abbiamo a nostra disposizione la tecnica chirurgica post-estrattiva, ma con risultati contrastanti in letteratura. Sebbene il protocollo di inserimento di impianti in siti post-estrattivi sia ben documentato in letteratura con alte percentuali di sopravvivenza11 sembra che tale tecnica aumenti il rischio di recessione gengivale12. Negli alveoli post-estrattivi del mascellare anteriore la parete ossea vestibolare è frequentemente molto sottile e successivamente all’estrazione dentale si riassorbe durante le prime 4-6 settimane, causando una riduzione di circa 2-3 mm sul lato vestibolare, ciò indipendentemente dal fatto che sia presente o meno un impianto13,14. In un alveolo post-estrattivo con una parete vestibolare intatta e spessa, il fisiologico riassorbimento osseo verticale e orizzontale, con conseguente appiattimento del contorno buccale, avviene contestualmente anche se in misura minore15. Successivamente all’estrazione, se lasciamo guarire completamente il tessuto osseo e mucoso avremo una fisiologica diminuzione del 25% dell’ampiezza vestibolo-linguale durante il primo anno e la conseguente perdita della normale architettura gengivale (Figure 2-5).
Grunder et al. suggeriscono che lo spessore dell’osso sul lato vestibolare all’altezza della piattaforma dell’impianto deve essere almeno di 2 mm per compensare gli effetti del riassorbimento e il conseguente rischio di recessione del tessuto molle16. Ne consegue che solo in casi eccezionali possiamo inserire un impianto in una posizione corretta per il restauro protesico senza la necessità di un aumento di tessuto osseo e mucoso. Quindi possiamo concludere sostenendo che sia la tecnica post-estrattiva che l’inserimento ritardato dell’impianto necessitano nella maggioranza dei casi della correzione del difetto osseo orizzontale sul lato vestibolare. La ricostruzione della componente ossea può essere effettuata prima o durante l’inserimento dell’impianto stesso, ciò dipende dalla gravità del difetto. La rigenerazione ossea guidata (GBR) è una delle tecniche attualmente più utilizzate per incrementare la formazione di osso17. I risultati del trattamento basati sull’evidenza indicano che la rigenerazione guidata del tessuto (GBR) per i difetti localizzati della cresta alveolare può rigenerare nuovo osso in una quantità compresa fra 1,5 e 5,5 mm18,19. Una prerogativa della tecnica GBR è una chiusura per prima intenzione della ferita. Se noi aspettiamo 4-6 settimane, avremo a disposizione quei 4-5 mm di mucosa cheratinizzata che ci faciliteranno la gestione dei lembi e una chiusura per prima intenzione priva di tensioni, senza esporre la nostra ricostruzione ossea alla colonizzazione batterica e al rischio di complicanze post-operatorie. Sebbene l’osso autologo sia ritenuto il gold standard, oggi disponiamo di biomateriali che ci consentono di evitare i prelievi in siti donatori20. Studi istologici e clinici hanno ben documentato il comportamento degli impianti in osso rigenerato. Pagliani et al.21 in uno studio in cui hanno utilizzato osso suino collagenato in aumenti ossei localizzati e in rialzi di seno dei mascellari dimostrano che il biomateriale ha un comportamento sovrapponibile all’osso omologo, riportando nel follow-up a un anno aumenti statisticamente significativi della frequenza di risonanza.
Posizione dell’impianto
Un ulteriore requisito per il successo estetico della riabilitazione implantare è il corretto posizionamento dell’impianto; la sua posizione dovrebbe fornire la capacità protesica di soddisfare l’estetica desiderata e promuovere la salute e la stabilità dei tessuti circostanti (Figure 6 e 7).
![Fig. 6 - Corretta posizione tridimensionale dell’impianto in zona 2.1.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe006-204x307.jpg)
![Fig. 7 - Riabilitazione protesica del 2.1 con ceramica integrale.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe007-236x307.jpg)
In letteratura ci sono eccellenti articoli sul posizionamento dell’impianto e sullo sviluppo del sito implantare22,23. La posizione vestibolo–palatale dell’asse lungo dell’impianto deve essere circa 1,5-2 mm più palatale rispetto al profilo di emergenza vestibolare previsto del margine gengivale della corona. Se l’asse lungo dell’impianto si proietta più vestibolare oltre il margine incisale dei denti vicini e del restauro definitivo ne risulterà nella fase protesica una compressione dei tessuti con conseguente recessione gengivale e profilo estetico non armonioso24.
La posizione apico-coronale della testa dell’impianto dovrebbe trovarsi a 3-4 mm apicale al margine vestibolo-gengivale previsto del restauro, poiché l’ampiezza biologica che si osserva intorno agli impianti è di circa 3 mm. Molti Autori suggeriscono che la piattaforma dell’impianto dovrebbe trovarsi in relazione a questa dimensione biologica così che la corona abbia un corretto profilo di emergenza.
Se, invece, prendiamo come punto di riferimento la giunzione amelo-cementizia dei denti adiacenti, la piattaforma dell’impianto deve trovarsi a 2 mm più apicale quando questi ultimi non presentino una recessione25,26. La posizione mesio-distale dell’impianto deve essere al centro di un’immaginaria linea che unisce i denti adiacenti. Lo spazio minimo da mantenere fra l’impianto e il dente è di circa 1,5 mm; tale spazio è necessario per la futura maturazione della papilla anche se per il riempimento completo dello spazio interpapillare entrano in gioco anche altri fattori. Negli ultimi anni la presenza o l’assenza della papilla tra due denti, tra un dente e un impianto o tra due impianti ha catturato l’attenzione dei clinici. Nella riabilitazione di un impianto tra due elementi dentari il riempimento completo della papilla è prevedibile quando la distanza dal punto di contatto ai picchi ossei mesiali e distali dei denti adiacenti è inferiore ai 5 mm; se questa distanza aumenta a 6 la possibilità di avere una papilla completa diminuisce del 55% nel tempo, se la distanza è ≥7 avremo solo il 25% di possibilità che la papilla riempia completamente lo spazio interdentale27. Jemt T.28 ha dimostrato che anche se al momento dell’inserimento della corona definitiva abbiamo una papilla non perfettamente completa, possiamo prevedere un aumento del suo volume durante il primo anno di funzione, sempre che la distanza fra la cresta ossea e il punto di contatto sia intorno ai 5 mm (Figure 8-10).
Un ulteriore aspetto da considerare nella fase diagnostica è la forma dei denti e il biotipo parodontale. Un biotipo spesso con festonatura piatta frequentemente è associato a denti quadrati che hanno il punto di contatto più apicale. In questi casi è più facile riempire lo spazio interdentale rispetto a un biotipo sottile con festonatura alta, associato a denti triangolari dove la papilla è molto più accentuata (Figure 11a-11b). Da un’analisi della letteratura emerge che la maggioranza dei clinici sconsiglia l’utilizzo di impianti adiacenti nelle zone ad alta rilevanza estetica.
![Fig 11a - Biotipo spesso-forma quadrata del dente.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe011a-449x307.jpg)
![Fig. 11b - Biotipo sottile-forma triangolare del dente.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe011b-441x307.jpg)
Comunque, sembra che una distanza ≥ di 3 mm fra impianti adiacenti sia sufficiente a mantenere il picco osseo interprossimale. Al contrario, quando la distanza è inferiore si riscontra un fisiologico riassorbimento dell’osso interprossimale e conseguentemente sarà difficile la creazione di una papilla interdentale con il rischio dell’inestetico black triangle29. La spiegazione di tutto ciò è in un differente apporto ematico al tessuto molle perimplantare, il quale è minore tra due impianti rispetto a un impianto e un dente naturale30,31. Salama et al.32 hanno elaborato una classificazione che permette di prevedere l’altezza della papilla interdentale. Gli Autori concludono che questa classificazione consentirà ai clinici di prognosticare i contorni estetici futuri in base al supporto osseo verticale disponibile e di scegliere la riabilitazione fissa più appropriata (Tab.1).
![Tabella 1](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/Schermata-2015-05-07-alle-11.36.43-460x205.jpg)
Tessuto molle
Un’attenta valutazione dell’architettura del tessuto molle prima dell’inserimento dell’impianto ci permette di stabilire quale specifica tecnica di aumento utilizzare.Da una revisione della letteratura33 emerge che per quanto riguarda la sopravvivenza implantare e il riassorbimento dell’osso marginale non ci sono differenze tra gli impianti inseriti in una sola o in due fasi chirurgiche. Ciononostante, possiamo sostenere l’importanza di disporre di una seconda fase chirurgica che ci consentirà di creare un’ulteriore gengiva cheratinizzata e/o correggere quei deficit mucosi che non siamo riusciti a colmare durante l’inserimento dell’impianto. Non ci sono considerazioni unanimi riguardo la necessità di disporre di una mucosa cheratinizzata intorno agli impianti: Warrer K. et al.34 nel ‘95 sottolinearono come l’assenza di gengiva cheratinizzata attorno agli impianti aumentasse la suscettibilità della regione perimplantare alla distruzione tissutale indotta dalla placca, mentre Cairo et al.35 nel 2008 in una revisione sistematica della letteratura concludono che la mancanza di mucosa masticatoria non compromette in alcun modo il mantenimento della salute del tessuto molle perimplantare, sempre che si effettui in maniera costante un’adeguata igiene orale domiciliare. Tuttavia è generalmente accertato che una zona di gengiva cheratinizzata aderente conduca a una migliore interfaccia funzionale fra tessuto molle e impianto. Comunque, disporre di un’abbondante quantità di tessuto cheratinizzato è auspicabile per un miglior condizionamento dei tessuti durante la fase protesica, per una maggiore stabilità dei tessuti nel tempo e per un miglior risultato estetico finale36. Kois J.C.37 nelle “five diagnostic keys” sottolinea come un biotipo gengivale che presenta una sottile banda di tessuto cheratinizzato può andare incontro più facilmente a una recessione vestibolare, mentre un biotipo spesso con una banda di tessuto cheratinizzato ben rappresentata tenderà a essere meno influenzato dalle manovre chirurgiche e protesiche. Altri fattori importanti che influenzano l’estetica sono il colore e lo spessore della mucosa perimplantare. Jung R.E. et al.38 nel 2007 in uno studio in vitro hanno analizzato l’effetto del titanio e dell’ossido di zirconio con e senza ceramica di rivestimento sul colore della mucosa in tre diversi spessori. Gli Autori concludevano che tutti i materiali di restauro inducevano cambiamenti di colore, che però diminuivano con gli aumenti di spessore del tessuto molle. Il titanio presentava cambiamenti di colore più evidenti, mentre con l’ossido di zirconio non si avevano modifiche apprezzabili a occhio nudo con spessori di 2-3 mm di mucosa.
La forma e la quantità dei tessuti perimplantari possono essere migliorate al momento dell’inserimento dell’impianto, oppure alla sua scopertura durante la connessione dell’abutment di guarigione o dopo l’inserimento della protesi. Le prime due opzioni possono essere effettuate con risultati predicibili, la terza, a mio giudizio, è un intervento di emergenza. Noi clinici abbiamo a disposizione un’ampia gamma di tecniche chirurgiche correttive mucogengivali per creare un eccesso di tessuto molle o per correggere il biotipo parodontale o il collasso in senso bucco-linguale conseguente all’estrazione del dente39,40. La tecnica chirurgica “dell’innesto di connettivo sub-epiteliale libero” può essere utlizzata sia durante l’inserimento dell’impianto o contestualmente alla seconda fase chirurgica. Questa tecnica è stata proposta per la prima volta da Langer B. e Calagna L. nel 1982 e prevede il prelievo di tessuto connettivo. L’area principalmente utilizzata come sito donatore è il palato tra il primo molare e il canino; il prelievo viene successivamente posizionato e suturato sul versante interno del lembo vestibolare ricevente41(Figure 12a-12b).
![Fig. 12a - Innesto di tessuto connettivo prelevato dal palato e suturato sul versante interno del lembo vestibolare 2.1.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe012a-460x307.jpg)
![Fig. 12b - L’immagine clinica occlusale mette in evidenza la capacità di questa tecnica di ricostruire la bozza radicolare.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe012b-460x307.jpg)
Nei casi in cui è necessario ricreare una banda di tessuto cheratinizzato perimplantare e aumentare contestualmente lo spessore del tessuto molle in senso vestibolare possiamo associare la tecnica dell’innesto connettivale con un lembo palatino a riposizionamento vestibolare. Una tecnica che possiamo utilizzare esclusivamente durante la scopertura dell’impianto è la “roll technique”, descritta per la prima volta da Abrams nel 197142. Tale tecnica nasceva per aumentare la quantità di mucosa apicalmente e vestibolarmente rispetto all’area cervicale degli elementi di pontic dando all’area ricevente l’aspetto di una normale interfaccia dente-gengiva. Nel 1992 Scharf e Tarnow43 e successivamente Veisman H.44 nel 1998 modificarono e applicarono questa tecnica per aumentare il tessuto molle perimplantare in senso vestibolare durante la scopertura degli impianti. La tecnica prevede il sollevamento di un lembo peduncolato dal palato, e dopo la disepitelizzazione il lembo viene ripiegato al di sotto della mucosa vestibolare. Il vantaggio della “roll flap” è di avere un solo sito chirurgico, ma dato il limitato volume di tessuto cui si dispone può essere utilizzata in caso di difetti mucosi moderati con risultati imprevedibili e la gestione del tessuto
molle con un provvisorio è più complessa (Figure 13a-13b).
![Fig. 13a - In questo caso è stata utilizzata una “roll tecnique” per la correzione del difetto del tessuto molle vestibolare.](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/foto13-a-460x288.jpg)
![Fig. 13b - Restauro protesico definitivo (caso clinico del dottor Luca Pagliani).](https://www.ildentistamoderno.com/files/2012/03/DM_2012_003_volpe013b-460x223.jpg)
Una tecnica mininvasiva per la scopertura dell’impianto è la “Tissue Punch (flapless) Technique”. Tale tecnica prevede la presenza di un abbondante tessuto cheratinizzato ed è indicata quando dobbiamo scoprire l’impianto senza effettuare nessuna modifica dei tessuti molli. Si esegue a livello della testa dell’impianto un piccolo Punch di mucosa, si individua la vite tappo e si inserisce un healing abutment o un provvisorio45 (Figure 14 a-14c). Queste tecniche, oltre a migliorare il profilo di emergenza e l’aspetto estetico del risultato, hanno la finalità di cambiare un biotipo gengivale da sottile a spesso.
Bengazi et al.46 e, successivamente, Grunder47 dimostrarono che durante il primo anno si ha una recessione di 0,7 mm del tessuto molle vestibolare, quindi è consigliabile disporre di una quantità maggiore di mucosa vestibolare per compensare la recessione, soprattutto in presenza di un biotipo sottile. Quindi, prima della scopertura dell’impianto, un eccesso del tessuto molle cheratinizzato in direzione verticale di circa 1,5 mm più incisale dell’apice della parabola dell’elemento vicino consentirà di sviluppare successivamente un graduale profilo di emergenza del restauro e di adattarlo al profilo gengivale del dente naturale adiacente.
Gestione dei tessuti molli durante la fase protesica
Il management dei tessuti molli viene effettuato sia durante l’inserimento dell’impianto sia nella seconda fase chirurgica, durante la connessione di un pilastro di guarigione e/o di una corona provvisoria. Vorrei sottolineare l’importanza dell’utilizzo dei provvisori nelle riabilitazioni protesiche, sia su impianti che su denti naturali, per ottimizzare i risultati del trattamento estetico. Una corona provvisoria con un contorno appropriato è l’approccio migliore per modellare, guidare e stabilizzare i tessuti molli perimplantari; inoltre, è lo strumento terapeutico che imita le reali necessità estetiche che verranno successivamente riprodotte nel restauro definitivo. Nelle riabilitazioni implanto-protesiche il profilo di emergenza inizia dalla piattaforma implantare48. La sezione cilindrica e la discrepanza dimensionale fra un impianto e la corona protesica rendono difficile la riproduzione di un’interfaccia armonioso e un corretto profilo di emergenza del dente da sostituire49. Per ovviare a tutto ciò, diverse componenti e protocolli protesici sono stati sviluppati nel tentativo di ottimizzare il profilo di emergenza durante la fase di guarigione del tessuto mucoso perimplantare. I pilastri di guarigione giocano un ruolo fondamentale nella modellazione del tessuto molle. Originariamente le componenti protesiche avevano un disegno standard e non permettevano modifiche. Il crescente interesse di molti clinici nell’utilizzare pilastri protesici personalizzabili ha stimolato le case produttrici di impianti ha disegnare linee protesiche che venissero incontro a tali esigenze. Oggi la tendenza è di utilizzare componenti individuali sia nella fase provvisoria che in quella definitiva per consentire il supporto ottimale della mucosa e migliorare il profilo di emergenza del restauro.
Nel 1995 Daftary50 ha disegnato una serie di abutment di guarigione in titanio prefabbricati “Bioesthetic”. Questi, pur essendo molto efficaci, non riuscivano a gestire le infinite topografie gengivali che si possono incontrate intraoralmente. Gli abutment di guarigione in titanio hanno diverse limitazioni: non sono facili da preparare e lasciano trasparire la tonalità di grigio propria del titanio al di sotto del traslucido provvisorio in resina acrilica. Scolpire un corretto tragitto trasmucoso nella fase provvisoria è possibile solo con tecniche e materiali che permettono la loro manipolazione. Oggi, la maggior parte delle case implantari mette a disposizione di noi clinici una componentistica protesica personalizzabile nella fase provvisoria. Di recente, è stato proposto un nuovo protocollo clinico-protesico che si avvale di pilastri di guarigione che riproducono i profili di emergenza nei diversi settori del cavo orale e possono essere utilizzati sia come monconi provvisori per una protesi cementata o avvitata o come semplici tappi di guarigione. Come detto in precedenza, è impossibile per qualsiasi moncone provvisorio preformato in titanio compensare le infinite variazioni anatomiche gengivali che possiamo incontrare durante la scopertura dell’impianto; per questo motivo i pilastri di guarigione sono realizzati in polimeri biocompatibili e peek51, materiali che ci permettono la modellazione dei pilastri stessi e il condizionamento dell’anatomia mucosa durante la guarigione.
La duttilità del materiale offre a noi clinici la possibilità di personalizzare i pilastri e di compensare ”ovviamente solo entro certi limiti” una posizione o inclinazione errata dell’impianto. Aggiungendo o sottraendo resina, quindi comprimendo o decomprimendo la mucosa, influenzeremo progressivamente il tragitto trasmucoso e l’altezza della papilla (Figure 15a-15g).
Raggiunta la maturazione e la stabilizzazione del tessuto molle è importante che il profilo di emergenza sia replicato fedelmente per il lavoro definitivo. Per fornire al tecnico tutte le informazioni necessarie, l’impronta finale può essere rilevata con la tecnica di Hinds52 che prevede l’individualizzazione del coping-transfers con resina. Sviluppata l’impronta, sceglieremo un pilastro definitivo capace di replicare fedelmente il tragitto trasmucoso perimplantare e disegnare un margine di fine preparazione a circa 1,5 mm all’interno del solco per facilitare la rimozione del cemento in eccesso (Figure 16a-16c).
La scelta del pilastro protesico viene effettuata dal clinico in base alle esigenze funzionali ed estetiche. Oggi abbiamo a disposizione una vasta gamma di soluzioni protesiche prefabbricate e personalizzate. I pilastri preparabili in titanio o in zirconia sono modificati dal tecnico, il quale li personalizzerà nelle tre dimensioni dello spazio. Nell’eventualità che durante la gestione del tragitto trasmucoso la forma del moncone provvisorio sia stata modellata addizionando resina, poiché i monconi definitivi preparabili sono solo parzialmente individualizzabili e poiché possiamo sottrarre e non aggiungere titanio o zirconia è necessario ricorrere all’utilizzo di monconi calcinabili o alla tecnologia Cad/Cam.
Conclusioni
La riabilitazione implanto-protesica nei settori anteriori, zona ad alta rilevanza estetica, è oggigiorno la sfida che il clinico si trova ad affrontare. Le tecnologie più avanzate ci offrono sistemi duttili che ci aiutano nella possibilità di ottenere risultati estetici sempre più “naturali”. I nostri tempi, estremamente vivaci dal punto di vista tecnologico, non ci devono allontanare dal rispetto dei tempi biologici di maturazione e stabilizzazione dei tessuti sia duri che molli. Per ottenere un successo estetico prevedibile non si può prescindere dalla corretta diagnosi, dallo studio accurato del sito, dalla scelta delle tecniche chirurgiche e protesiche più appropriate.
Corrispondenza
Stefano Volpe
Piazza del Fante, 10
00195 Roma
www.stefanovolpe.it