La cisti aneurismatica dei mascellari è una lesione idiopatica non comune, inclusa nel contesto delle pseudocisti.
Si tratta di una formazione simile dal punto di vista clinico e radiografico alle più comuni cisti dei mascellari, ma dotata di caratteristiche peculiari, in primo luogo l’assenza di un rivestimento epiteliale, elemento indispensabile alla definizione di una cisti. Tale patologia presenta un forte interesse clinico in primo luogo nella presentazione: colpisce principalmente la mandibola (soprattutto in sede latero-posteriore), spesso in pazienti giovani – con un picco di incidenza nella seconda decade – e segue non di rado un processo espansivo rapido, manifestando alle volte una sintomatologia palpatoria, pur essendo solitamente non dolente.
La lesione è tipicamente indicata per il trattamento chirurgico, con asportazione e curettage: tale manovra può essere anche molto pericolosa nel caso non vengano preventivate misure contenitive del sanguinamento, che sistematicamente può essere anche molto abbondante.
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Per quanto una tipizzazione diagnostica certa possa essere assegnata solamente per via istologica – oltre ai vasi, possono essere presenti elementi gigantocellulari e/o tessuto osteoide o osteo-fibroso – è fondamentale monitorare con attenzione le lesioni compatibili dal punto di vista clinico e radiografico.
Cisti aneurismatica dei mascellari: ipotesi eziologiche
Per quanto, come detto, le cause della patologia non siano chiare, sono stati sondati alcuni aspetti. Jaffe teorizza che questa si manifesti come stravaso ematico in una lesione litica preesistente, mentre Thompson sostiene che si tratti di un processo riparativo erroneo in risposta ad un evento traumatico. Diversi Autori si soffermano sulle correlazioni genetiche della patologia. Alcuni ne obiettano parzialmente anche la definizione di lesione non neoplastica. La teoria più accreditata è attualmente quella idrodinamica a eziologia ignota.
Per quanto riguarda la diagnostica per immagini, nella panoramica si osserva solitamente un lesione osteolitica circondata da un margine sfumato; inizialmente uniloculare, può assumere un aspetto “a bolle di sapone” durante la progressione patogenetica. Il clinico potrà poi ricorrere ad esami di secondo livello, come TC cone beam o risonanza magnetica, sia per rinforzare il sospetto clinico (pur ribadendo che il solo risultato istologico ha valore probante), sia con il fine di pianificare l’intervento chirurgico.
Un ultimo aspetto che deve essere considerato consiste nella frequenza rilevanza dei casi di recidiva postchirurgica. SICOI riferisce un dato di frequenza attorno al 26% sul quale orientarsi. Alcuni Autori provano a correlare il dato con la modalità terapeutica, sostenendo che le recidive possano presentarsi nel 21–50% dei casi dopo semplice curettage, dato che scende al 11–25% nel caso di intervento più radicale.